Mendrisiotto

L'accoltellatore di Novazzano continuerà a curarsi

Confermata la terapia stazionaria per il 21enne che il 25 febbraio dell'anno scorso si accanì contro il padre. “Oggi sono consapevole di essere malato”

Il luogo dell'accoltellamento (archivio Ti-Press)
20 ottobre 2020
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Continuerà a essere curato nel foyer della svizzera francese che lo ospita dal maggio scorso il 21enne originario dello Sri Lanka che il 25 febbraio 2019 ha accoltellato il padre nella loro abitazione di Novazzano. Nel dibattimento tenutosi questa mattina nel rispetto delle nuove norme sanitarie e alla presenza della famiglia e alcuni amici dell’imputato, la Corte delle Assise criminali di Mendrisio presieduta dal giudice Mauro Ermani ha accolto l’istanza di misura presentata dal procuratore pubblico Zaccaria Akbas. Istanza voluta a seguito dei risultati della perizia psichiatrica che ha stabilito che il 21enne non era consapevole dell’atto illecito e può quindi beneficiare di una totale scemata imputabilità. «Se la sente di affidarsi ai terapeuti?», è stata la domanda del giudice. «Ne ho bisogno», ha risposto l’imputato. «Deve seguire scrupolosamente sia la terapia farmacologica che quella psichiatrica – sono state la parole del giudice –. Una non può prescindere dall’altra». A scatenare i fatti dello scorso inverno è stata la sospensione dell’assunzione di farmaci, prescritti dopo due precedenti ricoveri alla Clinica psichiatrica cantonale. I primi problemi risalgono agli anni del liceo e sono arrivati fino a quelli che la perizia ha definito “scompensi acuti con deliri di onnipotenza”. «Ho iniziato a sentire delle voci: amici e conoscenti commentavano quello che facevo». Farmaci che gli sono stati modificati l'anno successivo e che l'imputato ha poi smesso di prendere «perché mi mancava la sensazione di onnipotenza».

‘Nel buio l’essenza del male’

Il dibattimento si è concentrato su quanto successo poco dopo le 3.30 del mattino nel complesso di via Ronco, a Novazzano. «Ricordo di essermi alzato percependo nelle parti buie della casa l'essenza pura del male. Dovevo salvare mio fratello dal male e metterlo al sicuro». I tentativi, solo in parte riusciti, di calmare il figlio, sono culminati con l'aggressione sotto gli occhi della moglie e del fratellino del genitore, che ha portato l'uomo a essere in “imminente pericolo di morte”. Gli stralci della perizia inserita nell'atto d'accusa indicano che il giovane “soffre (e soffriva anche al momento dei fatti) di una schizofrenia paranoide caratterizzata da delirio di megalomania e di persecuzione, allucinazioni uditive e, meno preminente, durante un certo periodo prima dei fatti, di sintomi negativi quali appiattimento affettivo e ritiro sociale”. Cosa è quindi successo? «Deliri e allucinazioni mi hanno fatto perdere la percezione della realtà», è stata la risposta. Dopo un anno e mezzo di terapia, il 21enne – che nel foyer ha ripreso gli studi liceali e vede un futuro «con tante ambizioni ma non mi pongo limiti temporali» – ha potuto affermare che a portare ai fatti è stata «la mancanza di conoscenza della malattia che mi ha fatto smettere i medicamenti». Un nodo cruciale, quest'ultimo, sul quale il giudice Ermani ha insistito molto. «È proprio questo il problema, il non aver continuato la terapia farmacologica – ha affermato –, La sua è una malattia pericolosa per lei e per gli altri, ma per fortuna la scienza ha trovato degli antidoti».

Un episodio al foyer

Nell'ottobre scorso, il 21enne ha avuto un episodio di scompenso psicotico. «Ero a letto e ho sentito le voci che mi chiamavano – ha raccontato –. Mi sono spaventato e ho avvisato gli educatori del turno di notte». La crisi è stata risolta con l'aumento dei medicamenti «che tuttora persiste. Ho pausa di quello che potrebbe succedere se non prendessi il medicamento». Nella lettura del dispositivo, il presidente ha spiegato che «la Corte ha preso atto che il percorso si sta svolgendo in maniera corretta, ma non parla di coraggio: il perito ha stabilito che questo era il percorso e il procuratore pubblico ha anticipato i tempi. Non sempre va bene». La strada intrapresa sembra essere quella giusta «e siamo tutti sollevati che sta andando bene – ha aggiunto Ermani – e anche del fatto che al primo episodio ha chiesto aiuto. Questo è il segnale migliore perché è su fatti concreti che vanno tirate le conclusioni». A parlare di coraggio è stato il difensore dell'imputato, l'avvocato Carlo Borradori, «È andata bene anche perché si è avuto coraggio. Senza, il giovane sarebbe probabilmente stato in carcere e avremmo meno elementi per essere ottimisti per il futuro».

Il padre vuole stare vicino al figlio

«Quel potere mi faceva stare bene e non lo percepivo come una malattia. Oggi, dopo i fatti estremamente gravi e il dolore provocato alle persone che amo, sono più che consapevole di essere malato e ho deciso di vivere con la malattia e imparare ad accettarla una volta per tutte, Vedo un futuro roseo, con la malattia controllata e il farmaco sempre presente». Nel suo percorso il giovane avrà la vicinanza degli specialisti e soprattutto di amici, che si recano anche a trovarlo, e famiglia. «Il padre non vuole nessun risarcimento, vuole solo stare vicino al figlio perché al momento dei fatti non era lui”, sono state le parole dell'avvocato Stefano Camponovo. «Mi sento amato, sostenuto e compreso in questo percorso e spero possa continuare», sono state le ultime parole del 21enne che, nelle prossime ore, verrà ritrasferito in Svizzera francese per continuare le cure.

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