Mendrisiotto

Trenta mesi di carcere ai ‘fratelli dell'hashish’

I due cittadini marocchini erano stati fermati a Brogeda con 209 chili nascosti nell'auto. La condanna è stata parzialmente sospesa

L'auto diretta in Germania è stata fermata il 22 febbraio scorso (archivio Ti-Press)
10 settembre 2020
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La loro auto imbottita di hashish era stata fermata alla dogana di Chiasso il 22 febbraio scorso. I due corrieri, due fratelli marocchini residenti in Italia di 30 e 28 anni entrambi incensurati, sono comparsi stamattina davanti alla Corte delle Assise criminali di Mendrisio. Il giudice Amos Pagnamenta li ha riconosciuti colpevoli di infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti. Entrambi sono stati condannati a 30 mesi di detenzione, di cui 23 sospesi per un periodo di prova di 2 anni, ed espulsi dalla Svizzera per 7 anni. L’arresto dei due fratelli risale, come detto, al febbraio scorso. La vettura con targhe italiane è stata fermata alle 21.45 al valico autostradale di Chiasso Brogeda. La perquisizione ha permesso di scoprire 209,499 chili di hashish (con un grado di Thc compreso tra il 23 e il 24 per cento) suddiviso in 626 confezioni, contenenti a loro volta un totale di 2’091 panetti. Sostanza che, se immessa sul mercato, avrebbe generato una cifra d’affari di 1'361'750 franchi (attestato un valore di mercato all'ingrosso di 6'500 franchi al chilo).

Quattro trasporti in totale

Stando all’atto d’accusa formato dal Procuratore pubblico Roberto Ruggeri, quello che ha portato al fermo dei due fratelli è stato il quarto trasporto di sostanza stupefacente. I due imputati hanno però ammesso solo quello che ha aperto loro le porte del carcere. «L’ho fatto per soldi e ho sbagliato – ha dichiarato il più giovane –. È vero che sono venuto in Svizzera una volta per Capodanno, ma è stata la prima volta che facevo questo lavoro». La droga, ha spiegato l’imputato, era destinata alla Germania e il trasporto gli avrebbe garantito un compenso di 3mila euro. Il 30enne ha invece raccontato che «mi stavo recando in Germania per cercare un lavoro» e di avere saputo solo durante il viaggio che «nella macchina c’era del fumo e che le altre volte che sono venuto in Svizzera era per la mia attività di commerciante». Una tesi che non ha convinto la Corte. «Uno ha ammesso – ha motivato il giudice –. Le dichiarazioni tra loro incoerenti rilasciate durante l'inchiesta portano a dire che anche l'altro imputato era pienamente coinvolto nel trasporto». La Corte ha altresì «accertato che anche i viaggi precedenti erano per il trasporto di sostanze illegali – ha aggiunto il presidente della Corte –. Fatto che i due imputati hanno cercato di nascondere il più possibile durante l’inchiesta: una reticenza sintomatica che porta a credere che avessero qualcosa da nascondere». Del resto, ha aggiunto Pagnamenta, «è improbabile che per il primo viaggio sia stato affidato loro un quantitativo cosi importante senza avere fatto delle prove in precedenza». Non essendo stato possibile stabilire l’entità è il tipo di sostanza – “verosimilmente hashish”, come si legge nell'atto d'accusa – dei primi viaggi, per la pena sono stati considerati unicamente i 209 chili sequestrati.

Una colpa ‘grave’

I fratelli sono stati rappresentati in aula dagli avvocati Yasar Ravi (legale di fiducia del 30enne) e Pietro Croce (difensore d'ufficio del 28enne). Le parti hanno raggiunto un accordo sulla condanna prima del dibattimento, rinunciando quindi alla discussione davanti alla Corte, che ha confermato la proposta di condanna. «Abbiamo tenuto conto del fatto che lo stupefacente era unicamente in transito e non era destinato al mercato locale. La colpa dei due imputati – ha aggiunto il giudice Amos Pagnamenta riconoscendo l'aggravante della banda – è comunque grave perché hanno agito in modo reiterato e per scopo di lucro e si sono fermati solo perché sono stati arrestati». Nell'atto d'accusa viene inoltre spiegato che l'auto sulla quale hanno nascosto l'hashish è stata portata qualche giorno prima in Marocco “al fine di celare la sostanza stupefacente sequestrata in appositi ricettacoli creati ad hoc” e riportata in Italia con un traghetto. «Le diverse nazioni attraversate danno alla vicenda una connotazione internazionale e dimostrano la spregiudicatezza dell'azione», ha concluso il giudice.

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