Massimo Zoggia, astrofilo della prima ora del Gruppo insubrico d’astronomia, rievoca a 'laRegione' i bei tempi.

Formalmente oggi il Gruppo insubrico di astronomia del Monte Generoso non esiste più. Resistono i volontari che, fin dall’inizio, hanno creduto nel potere divulgativo dell’osservatorio in vetta. «Sciogliere il Gruppo – ci fa capire Massimo Zoggia, uno degli astrofili della “vecchia guardia” con Francesco Fumagalli e Luigi Ferioli – è stata una delle prime decisioni prese dal nuovo corso della direzione della Ferrovia Monte Generoso, una volta inaugurato il ‘Fiore di pietra’. Oggi si può dire che è stato il primo atto della disavventura che ci ha condotti sin qui». Ovvero sino all’annuncio, a metà febbraio, di trasferire telescopio e strumentazione Oltregottardo, a Gurten (Canton Berna). Una notizia ferale per gli appassionati del cielo che non sanno se confidare (o meno) in un ripensamento.
Spirito da pionieri, nel Gruppo erano consapevoli che la loro era un’esperienza «avveniristica». Del resto, l’osservatorio sul Generoso, chiarisce Zoggia, è fatto per promuovere la divulgazione dell’astronomia e coltivare i contatti umani. L’approccio di questi ‘custodi’ del telescopio? Insubrico, di nome e di fatto («eravamo un po’ di qui e un po’ di là», provenendo dal Ticino e dalle province di Varese, Como e Novara). Unico comune denominatore: essere degli amanti delle stelle. È una passione quindi? «Appassionato lo sono sempre stato. Ho avuto la fortuna di fare l’installatore di telescopi e ho cominciato da lì tanti anni fa», ci racconta Zoggia. E ora che il Gruppo non c’è più? «Non abbiamo più quel ‘patentino’, ma restiamo degli astrofili e continuiamo le nostre collaborazioni, non solo sul Generoso ma anche con altri osservatori. Per noi della vecchia guardia, del resto, a cominciare dal ‘decano’, Fumagalli, che è l’ideatore di questa fantastica avventura (o follia, dipende dai punti di vista), è la nostra vita dal Millennio scorso». Ecco che ritrovarsi senza osservatorio rappresenta un colpo al cuore per degli astrofili. Le autorità locali, dal canto loro, si sono fatte un’idea sulla politica futura della Ferrovia, soprattutto dopo aver saputo che oltre al trasloco del telescopio sono caduti anche gli appuntamenti alla Grotta dell’orso, a poche centinaia di metri dalla vetta, su territorio italiano. «Tra le prime misure, in effetti, vi è stato pure l’abbandono di quel sito – ci conferma Zoggia –. E anche in quel caso se ne è andata una parte della mia vita: avevo amici, gli ‘scavatori’ dell’Università degli studi di Milano, con i quali all’epoca (quando si poteva restare a dormire in vetta) ci si trovava in cupola per una chiacchierata a tutto campo e uno scambio di saperi». Si comprende bene come i legami con l’altra ‘faccia’ del Generoso, non solo escursionistico, siano stretti. «Se si pensa che la Grotta l’ha scoperta uno svizzero e che si studia alle Elementari in Ticino (in Italia no), vuol dire che c’è una cultura, un seguito. Infatti, si è tentato di fare una sorta di gemellaggio di culture con l’osservatorio, poi spazzato via dall’evento del ‘Fiore di pietra’, che pare proprio aver scombussolato la vita di molti».
A proposito di cultura, da statuti, d’altra parte, la Ferrovia Monte Generoso viene definita come uno dei “pilastri portanti” di Percento culturale Migros. Ora però che, sul territorio, si rinuncia alla Grotta dell’orso e all’osservatorio, non è un po’ come abdicare alla divulgazione culturale? «Poco elegantemente (forse), direi che è importante il percento: certo è l’economia che tiene in piedi la possibilità di mantenere anche l’osservatorio. Ma in questo momento se ne è sparito il ‘culturale’, è rimasto il percento – ci risponde l’astrofilo –. È un po’ triste, obiettivamente però altre attività culturali non ce ne sono. Fanno eccezione alcune mostre all’interno della struttura. Si può dire che resterà la Meridiana, anche perché non è asportabile, e rimarrà il Sentiero dei pianeti». Insomma, si farà un passo indietro. «In un certo senso è un po’ come tornare al 1995, quando c’erano solo il Sentiero e un telescopio commerciale nella casetta di legno, poi diventata la nostra sede. Da lì è cominciato tutto. L’anno dopo è stata scoperta la Grotta e sono arrivati a valanga i ricercatori dell’Università. È diventato un fulcro culturale significativo. Certo la vedo da appassionato, ma temo faccia testo l’aspetto economico. Anche se non riesco a comprendere quali siano oggi le finalità della Ferrovia Monte Generoso. Se si toglie la valenza culturale, in ogni caso, non so cosa rimane».
Per Zoggia gli interrogativi che si affollano sono parecchi. Tanto più adesso, ci rende attenti, che con la diffusione del Coronavirus sul turismo, in particolare dall’estero, cala un’importante ipoteca. «Siamo preoccupati, anche noi – confida l’astrofilo –. E pensare – ci dice ancora – che questo doveva essere il nostro anno della rinascita. Ultimata la riorganizzazione della struttura in vetta, doveva essere la volta buona per trovare una collocazione pure per l’osservatorio. Una opportunità bruscamente interrotta. E senza avere un dialogo: siamo stati convocati e ci è stata comunicata la decisione ufficiale di trasferire l’osservatorio». Zoggia lamenta una gestione molto manageriale del Generoso. «Questa montagna, però – osserva – non è mai stata un’azienda a scatola chiusa. Ho ricordi di serate fantastiche e rapporti calorosi con il personale della vecchia struttura. Oggi l’aspetto umano non ha più spazio e i rapporti si sono raffreddati. Questa almeno è l’impressione». Una situazione che amareggia gli astrofili del Gruppo insubrico. «Resiste la speranza che possano cambiare idea. Ma la proprietà è sempre di una azienda privata».
Sulla perdita rappresentata dalla partenza verso nord del telescopio, Zoggia non ha dubbi. «Dalle nostre parti – ci fa sapere – non esistono osservatori privati per la divulgazione dell’astronomia. Esistono osservatori di astrofili finanziati da un ente pubblico, che mantiene la struttura. E chi ha questa passione può praticarla». Come dire che l’assenza sul Generoso si farà sentire. «Difficile dimenticare i tempi in cui le scolaresche arrivavano a frotte, di media due la mattina e altrettante la sera. E si faceva fatica a cacciarle via. Un interesse costruito poco a poco, grazie all’impegno dei volontari e alla dedizione degli insegnanti». Un ‘patrimonio’ che rischia di andare irrimediabilmente perduto.