
Non nega Lisa Bosia Mirra. "Sì, è vero. Ho aiutato queste persone. Del resto, non avevo altra scelta nella situazione in cui mi trovavo". Il giudice Siro Quadri ripercorre punto per punto il decreto d'accusa firmato dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo. Inevitabilmente dalle parole della co-fondatrice di Firdaus riemerge il ricordo di quei giorni al campo improvvisato nei giardini di Como, i volti e le storie delle persone incontrate. Persone che, sulla fiducia, la 43enne ha cercato di aiutare, anche ospitandoli per una notte a casa sua prima di tentare il passaggio alla frontiera. A volte lei davanti, in auto - "Ero l'auto civetta" -, e quelli che sono considerati i correi dietro con a bordo eritrei o siriani. Ciò che ha convinto la procuratrice a contestare, in quasi tutti i casi - nove gli episodi ricostruiti -, l'aiuto all'entrata, all'uscita e al soggiorno illegale. Una linea rigettata in toto dalla difesa dell'avvocato Pascal Delprete.
Lisa Bosia Mirra nel suo racconto ammette di avere avuto molti dubbi nel corso della sua esperienza a cavallo fra Como e Chiasso, l'estate scorsa. Su un aspetto, però, la deputata del Ps non ha avuto esitazioni: "La violenza di ciò che ho visto a Como non l'ho vista da nessuna parte. E ho viaggiato molto, in diversi campi profughi e ha lavorato per anni per la Migrazione e Soccorso operaio". La violenza e' quella che alcuni dei migranti a Como portavano sul loro corpo, testimonianza del viaggio attraverso il deserto, la Libia e le angherie dei trafficanti di esseri umani.