Il procuratore generale Andrea Pagani ha interrogato il direttore del Dipartimento delle istituzioni come persona informata sui fatti
È toccato al consigliere di Stato Norman Gobbi, oggi, essere interrogato nell’ambito dell’inchiesta penale sullo sgombero e l’abbattimento dell’edificio F dell’ex Macello. Il capo del Dipartimento delle istituzioni è stato sentito dal procuratore generale Andrea Pagani come persona informata sui fatti e per chiarire in che misura fosse informato e coinvolto nel piano di sgombero del centro sociale Il Molino e della demolizione dello stabile. L’operazione è stata messa in atto dalle forze dell’ordine e dalle ruspe nella notte tra il 29 e il 30 maggio 2021. Gobbi si è presentato con il suo legale Renzo Galfetti. All’interrogatorio hanno presenziato anche gli avvocati Elio Brunetti (legale della municipale di Lugano Karin Valenzano Rossi, che è formalmente indagata a seguito della denuncia dei Verdi), Maria Galliani, legale di Lorenzo Hutter (tuttora sotto inchiesta), vicecomandante della Polizia cantonale e Costantino Castelli, in rappresentanza dell’Associazione Alba.
Prosegue dunque la seconda inchiesta penale coordinata dal pg Pagani. Una seconda inchiesta avviata dopo che la Corte dei reclami penali (Crp), in una lunga e articolata sentenza (di oltre novanta pagine) ha accolto il ricorso di Castelli ordinando nuove indagini. La sentenza della Crp, di fatto, ha respinto il decreto di abbandono firmato da Pagani nel dicembre del 2021 e ha obbligato il pg ad approfondire diversi aspetti della vicenda. La seconda inchiesta, come si ricorderà, ha subito alcune interruzioni. A cominciare dalla richiesta del comandante della Polizia cantonale Matteo Cocchi, che si era opposto alla richiesta del pg di avere accesso alla documentazione relativa alle operazioni ‘Papi’ (pianificazione dello sgombero), ‘Aiemo’ (mantenimento dell’ordine in vista della manifestazione del 29 maggio 2021). Alla fine, l’estate scorsa, Ares Bernasconi, il giudice dei provvedimenti coercitivi (gpc) ha accolto l’istanza di dissigillamento di Pagani.
Sulla questione ha preso posizione il Soa il Molino, secondo cui dalle parti annerite desecretate della documentazione sullo sgombero dell’ex Macello “è spuntato il nome di Norman Gobbi”. Dal canto suo, la Polizia cantonale ribadisce la precisazione diramata il 24 gennaio scorso che “in relazione a colloquio intercorso tra lo Stato maggiore, il direttore del Dipartimento delle istituzioni e altri interlocutori, quel giorno, era contenuto in un documento fornito in fase d’inchiesta”, come richiesto dal pg Pagani. Al di là di questa contrastante versione, il Molino ritiene che questo ponga “una serie di interrogativi che tentano di vederci chiaro, di smuovere aspre critiche nei confronti delle autorità politiche coinvolte”. Ebbene, ora, prosegue la nota, dopo quasi quattro anni, “è finalmente apparsa a chiare lettere la responsabilità del defunto sindaco Marco Borradori nonché di Gobbi. Come poteva essere altrimenti? ‘La polizia esegue gli ordini dell’autorità politica’, ha ribadito a più riprese il sostituto comandante della polizia cantonale Lorenzo Hutter”. Sbiancate le parti di testo “che il comandante della Polizia cantonale Cocchi si è tanto prodigato per mantenere segrete, a chi sembra ancora possibile offuscare la chiara matrice leghista e di un certo tipo di centro-destra nostrano di questa operazione repressiva contro l’autogestione preparata a tavolino già svariati mesi prima del 29 maggio 2021?”.
Chi, si chiede Soa, può “ancora credere sinceramente alle parole di coloro che affermano che si sia confuso ‘tutto’ con ‘tetto’, che ci sia stata confusione nella decisione degli stabili da radere al suolo? Optando guarda caso – aggiungono – per la distruzione della parte abitativa del centro sociale?”. Che il tutto sia riconducibile “a un problema di ‘comunicazione claudicante’, di cui Gobbi non fosse al corrente, quando per tale operazione si prevedevano ‘feriti, se non morti, ore di scontri, con la possibilità di prendere gli occupanti per fame durante giorni’?”. Norman Gobbi, prosegue la nota, “giusto qualche mese prima dello sgombero, su Teleticino affermava che se fosse stato per lui, l’ex Macello l’avrebbe sbaraccato da un pezzo, facendo prova a posteriori di una sincerità disarmante”. Chissà, si interroga ancora il Soa, “se quando è stato interrogato ha dato prova della stessa sicurezza o se ha sfoderato da sotto la manica qualche scusa o giustificazione ben collaudata durante i quattro anni trascorsi”.
Quello che preme al gruppo rimarcare “per chi ancora ha l’onestà intellettuale di rendersi conto di quello che succede sotto al proprio naso, è l’ipocrisia e la doppia faccia incarnata da un uomo e da un partito politico che da decenni fanno della sicurezza e della legalità i propri cavalli di battaglia, mentre sono i primi a calpestarle e piegarle ai propri interessi personali”. Lo sgombero di spazi sociali come il Molino, si legge ancora nel testo, “è innanzitutto un’offensiva reazionaria – attuata come una chiara operazione punitiva e di vendetta – contro luoghi di libertà in cui esprimere e sperimentare forme diverse dello stare insieme, non dettate dal denaro e dalla competizione”. Infine, concludono, “alla chiusura degli spazi e delle menti, è necessario rispondere con altrettanta determinazione, continuando, ognuno a modo suo, a sperimentare attraverso lotte e progetti, varie modalità di resistenza contro quello che sta avvenendo anche a livello locale. Perché tra qualche anno, sarà troppo tardi”.