Luganese

Lugano 2040, disegno futuristico attendibile o utopia?

A colloquio con il direttore della Fondazione Agire, Lorenzo Ambrosini, su uno studio di come sarà vivere e muoversi in Città: ‘Non solo tecnologie ma modelli sociali’.

Lugano 2040
28 febbraio 2020
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‘Vivere e muoversi a Lugano nel 2040’. Fra autobus avveniristici e droni con passeggeri Sketchin e Bak Economics hanno provato “a immaginare un futuro alternativo”. Ma sarà davvero così? Un interrogativo che abbiamo girato a Lorenzo Ambrosini, direttore della Fondazione Agire, l’agenzia per l’innovazione del Canton Ticino: «Mi chiede se è fattibile? La domanda è stuzzicante, ma la risposta non è facile. Non può essere un semplice sì o no, solo un chiaroveggente può avere la soluzione. Possiamo però fare un paio di riflessioni». Vediamole: «Qui sono state considerate solo tecnologie che sono in fase avanzata di test in altre parti del mondo. Dal punto di vista tecnico, quindi, non sono stati dei sognatori, non hanno parlato di teletrasporto per farmi capire meglio, sono tecnologie che, come il drone a Dubai, sono già certificate – o prossime a ciò – quali mezzi di trasporto per persone. Perciò dal punto di vista puramente tecnologico non siamo lontanissimi. La questione è un’altra, ovvero, non basta implementare un’invenzione tecnologica già presente in un tessuto sociale e urbano, ma ci vogliono altri requisiti. Sono questi che determineranno, infatti, quale di queste tecnologie si affermerà e quale no, più che la tecnologia in sé».

‘Guardiamo al fabbisogno umano’

Riflessioni, dunque, che raggiungono un altro livello: «Nel tentativo di previsione del futuro, che è un fabbisogno umano assolutamente naturale, proiettiamo il mondo attuale, i nostri fabbisogni, cercando di individuare quali tecnologie potranno soddisfare i nostri bisogni nel 2040 o nel 50 e 60. C’è però un ma: non è detto che i nostri fabbisogni del futuro saranno uguali a quelli di oggi. Le porto un esempio, tutti i giorni vengo a Lugano da Chiasso, sto in colonna, c’è il guasto o il ritardo al treno. Quale sarà la tecnologia del futuro che mi permetterà di arrivare sul posto di lavoro nel minor tempo? Sì, ma magari in futuro non dovrò più spostarmi perché lavorerò da casa. Magari avrò altre esigenze di spostamento che potrebbe essere quello serale di uscita con la famiglia o gli amici nel tempo libero. Oppure, proietto nel futuro l’esigenza di avere uno spazzolino da denti che si muove da solo ma magari metterò in bocca una pastiglia o cibi così ingegnerizzati che non mi daranno più carie e per cui non avrò più bisogno di uno spazzolino. Tutto per dire che non devo proiettare nel futuro il mondo di adesso e pensare a quali marchingegni avere. Dobbiamo, invece, riflettere su quali modelli di società, e in questo caso di mobilità, ci saranno nelle nostre città e questo riguarda sì il nostro lavoro, il nostro tempo libero, ma riguarda anche altri aspetti. Pensiamo alla mobilità pubblica e privata, magari in futuro avremo un consorzio condiviso, e non più un’auto di una sola persona ma in comproprietà. Un altro esempio, il flusso di informazioni, di persone e di materiali. Fino all’avvento del telefono o del fax le informazioni (pensiamo ai libri) dovevano essere ‘trasportate’, pensiamo alle diligenze a cavallo. Oggi con internet non c’è più bisogno di spostare fisicamente queste informazioni. Tutto ciò è stato un cambio di paradigma. Oggi mi sposto nei negozi e trasporto a casa i prodotti acquistati, in futuro, e in parte vi è già, riceveremo tutto a casa, anzi un robot magari me li metterà già in frigorifero. Non vi sarà più bisogno di multiposteggi perché le merci avranno un altro flusso e vi sarà un altro cambio di paradigma. Pensiamo alla vita sociale con cene fra amici che anziché avere presenti in carne ed ossa gli invitati avranno al loro posto degli ologrammi».

Per Ambrosini sarà, dunque, necessario «non solo proiettare la soluzione tecnologica ma capire quali saranno le nuove esigenze e i nuovi modelli di società e la tecnologia che si affermerà sarà una conseguenza. Forse non sarà nel 2040 ma un decennio dopo». Questi studi lasciano allora il tempo che trovano? «No, anzi dovrebbero farne di più. Ogni studio è uno spunto di riflessione che ci porta un gradino più avanti e a una discussione più ampia. Come possiamo, infatti, prevedere soluzioni tecniche quando il problema è altrove? La domanda è: siamo pronti a rinunciare ad alcuni nostri fabbisogni, come quello di possedere le cose (mi riferisco ad esempio all’auto privata) invece di condividerle? Siamo veramente pronti all’home office e al pericolo di diventare un ‘vegetale’, anche perché il lavoro è vita sociale, identità di impresa? Ripeto, ricerchiamo pure soluzioni tecniche ma bisognerebbe soprattutto pensare alle implicazioni sociali, urbanistiche, al modello di vita e di benessere che vogliamo. Lo studio è ben fatto ma facciamo previsioni anche un po’ più ‘matte’: se lavorassimo tutti da casa, se chiudessimo tutte le strade e ci facessimo dei giardini? Chiaro che nessuna si avvererà ma magari ci potrebbe portare a degli spunti interessanti di riflessione».

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