Luganese

Affiorano tre casi di bullismo nella scuola media

Approfondiamo il fenomeno con Giancarlo Piffero, del Gruppo Visione Giovani della Polizia cantonale

13 luglio 2018
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Un ragazzo colpito con un pugno nei bagni della scuola, un altro vessato con minacciosi sms, un terzo molestato e filmato in gita. Tre casi avvenuti in due istituti di scuola media del Luganese. ‘Ma ogni anno abbiamo segnalazioni, in tutto il cantone’ ci spiega i contorni di una nuova aggressività Giancarlo Piffero, responsabile del Gruppo Visione Giovani della Polizia cantonale.

Una guancia rossa e un misto di sentimenti fra sconcerto e paura. Marco (nome di fantasia, quello vero è noto alla redazione) è uno studente luganese di scuola media. Per diversi mesi con altri compagni è stato l’obiettivo di due coetanei, forti nel branco ma deboli nei rapporti sociali. Maltrattato, insultato, vessato per mezzo di messaggini telefonici, tanto da farlo rinchiudere, dopo l’orario scolastico, fra le mura di casa. Altra scuola, altra storia. Il coetaneo Giorgio (anche qui vogliamo tutelarne l’anonimità), nel momento che dovrebbe essere fra i più spensierati e divertenti, ovvero la gita scolastica, è preso di mira da alcuni compagni che prima lo immobilizzano e poi lo filmano mentre lo molestano con una serie di pizzicotti. Casi sporadici? Se non possiamo parlare di un ‘modus vivendi’ nelle nostre scuole, il fenomeno è più che mai presente, come confermatoci da Giancarlo Piffero, responsabile del Gruppo Visione Giovani della Polizia cantonale. «All’inizio non è stato facile collaborare con alcuni direttori delle scuole – ci porta i risultati del prezioso osservatorio –, anche perché per i professori la presenza degli agenti poteva essere vissuta come un ‘segno di resa’. Poi, invece, guardando al bene esclusivo dei ragazzi, hanno capito che si può, e deve, collaborare. Non è un caso, dunque, che negli episodi che voi riportate siamo stati coinvolti».

Quanti sono stati i casi di bullismo segnalati nell’ultimo anno scolastico?
Ogni anno siamo chiamati a intervenire, normalmente dalla scuola ma anche dai genitori. Posso però senz’altro dire che stiamo meglio rispetto a coloro che ci circondano, penso al Varesotto o all’hinterland milanese. Diversamente da alcuni servizi di polizia della Svizzera interna, che fanno prevenzione dopo il fatto, noi la programmiamo con le scuole ogni anno. Oppure in modo non programmato e mirato, su richiesta dei direttori, quando succedono degli eventi particolari. In questi casi ci attiviamo anche per una mediazione con le parti coinvolte.

Notate un aumento dell’aggressività fra i giovani?
I casi gravi restano stabili. La risonanza maggiore viene soprattutto da alcune famiglie dei ragazzi vittime di bullismo, direi quelle più sensibili ed emotive, che vorrebbero la bacchetta magica, ovvero veder subito inflitta una sanzione. Ma i ritmi della legge sono diversi, e spesso lo si dimentica, insieme al dovere della scuola di pensare all’aspetto educativo e di ‘recupero’ del bullo. Ciò non toglie, come noi sempre ricordiamo, la possibilità di denunciare questi gravi fatti.

Quali comportamenti adolescenziali negativi registrate più frequentemente?
Il maggiore reato consumato dai minorenni è legato alla Legge federale sugli stupefacenti. La stessa statistica 2017 del magistrato preposto ce lo ha confermato: su 1’200 denunce 500 riguardano la droga (475 le condanne, ndr). Seguono, per citare i maggiori, i reati contro il patrimonio (più di 200), la Legge sulla circolazione stradale (250) e la sessantina di segnalazioni inerenti all’integrità personale e alle vie di fatto.

Vi è un aspetto che differenzia il bullismo dalle passate generazioni di giovani?
Avvertiamo un aumento sensibile dell’utilizzo inadeguato dei social, azioni che non definirei minacciose ma denigratorie. Notiamo sempre più un utilizzo di un gergo immorale e dissoluto, zeppo di parolacce, scorretto nei vocaboli e nei fini. Ma non solo, a correre lungo i canali Instagram, Snapchat e WhatsApp (i giovani, infatti, utilizzano sempre meno Facebook) sono sempre più le immagini, fotografie e video, ‘rubate’ ad amici e compagni e postate sui social, magari di carattere violento e pedopornografico, senza rendersi conto di commettere un reato (non solo peraltro da parte di chi le ‘utilizza’ ma anche di chi, la vittima, se sotto i 16 anni, le scatta in precedenza). Spesso, questi casi non vengono denunciati, e sta qui il grosso problema della nostra società, perché vengono ritenuti ‘normali’. Attraverso i social ci si concede più libertà. Molti che scrivono, offendendo e minacciando, si sentono autorizzati e ‘protetti’.

Dalla vostra esperienza sono soprattutto ragazzi o ragazze coloro che attuano comportamenti poco consoni all’educazione e al rispetto reciproco?
Le ragazze che commettono reati restano in minoranza rispetto ai maschi, ma la percentuale sta aumentando. Tornando al discorso di prima, soprattutto, nell’utilizzo dei social media. In questo, a loro come ai ragazzi, nella nostra opera di prevenzione diciamo spesso di ‘riflettere e attivare il cervello prima di azionare il dito’.

In cosa consiste l’attività che portate avanti nelle scuole?
Soprattutto nell’opera di informare, prevenire e mediare, ciò con l’ausilio di una quarantina di agenti fra Cantonale e Comunali che agiscono quali ‘antenne’ su tutto il territorio ticinese. Nelle scuole, per i ragazzi dai 10 ai 18 anni, trattiamo diversi temi in sintonia con il grado: in quinta elementare, per esempio, parliamo di rispetto e uguaglianza; nella scuola media di bullismo, e dei rischi e reati nell’informatica come dei pericoli delle sostanze psicoattive; nelle superiori, oltre ad argomenti quali l’abuso di alcool, trattiamo di circolazione e aspetti giuridici correlati.

 

‘Chiediamoci se la sospensione sia ancora una misura adeguata’

«Una cosa da far capire ai ragazzi è che devono raccontare questi episodi. Noi nella scuola – interviene in un discorso più ampio sulla problematica Tiziana Zaninelli, direttrice dell’Insegnamento medio del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport – cerchiamo, insieme al magistrato dei minorenni, al Gruppo Visione Giovani e a tutta le rete preposta, di ribadire che queste cose non devono essere taciute».

Un invito che non sempre può essere raccolto con ‘leggerezza’; dietro vi sono esperienze che toccano nel profondo, feriscono... «È vero. Quello che bisogna fare è prendere sul serio le cose e indagare. Perché i ragazzini bullizzati stanno davvero male, non è una fantasia, l’ho vissuto anch’io come docente. Non vanno presi sottogamba, per questo le direzioni devono capire e sentire i ragazzi, sia vittime sia autori di questi fatti, e intervenire. Poi i modi possono essere diversi. In questo senso, bisogna chiedersi oggi se la sospensione sia ancora una misura adeguata». E non parliamo solo di questi fatti, «altri casi ci sono stati – ci conferma la responsabile cantonale – anche se possono essere di entità diverse come, per esempio, un comportamento scorretto durante le lezioni». Questioni disciplinate dagli articoli 69 e 70 del Regolamento della scuola media (‘le mancanze disciplinari danno luogo, quale primo intervento, a un colloquio chiarificatore ed educativo tra allievi e insegnanti e a un richiamo; in casi di una certa gravità devono esservi associati i genitori, il docente di classe e il direttore della scuola’). A preoccupare le famiglie che denunciano questi casi soprattutto il fatto che non sempre l’intervento educativo e sanzionatorio sembra portare frutti. Come smentisce Tiziana Zaninelli «uno dei due ragazzi, autori degli atti di bullismo, era seguito durante l’anno scolastico da un educatore in un progetto differenziato, aveva cioè un seguito. Mi dispiacerebbe se uscisse l’immagine di una scuola che non se ne interessa, perché non è proprio vero».

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