Luganese

Caso Plein, niente favori sugli orari di lavoro

Il Governo risponde a una interrogazione parlamentare; nel settore moda già rilevate altre infrazioni

Ti-press
28 giugno 2018
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Il caso aveva fatto scalpore, alla fine di marzo: un blitz dell’ispettorato del lavoro nella sede della ‘maison’ di moda Philipp Plein, a Lugano, alle 23.55 trovò negli uffici dieci impiegati, sei designer e quattro fornitori arrivati dall’Italia. “Stavamo solo mangiando una pizza” la spiegazione; lavoro notturno non autorizzato secondo gli ispettori, che imposero ai presenti di abbandonare immediatamente gli uffici. Ne seguì una polemica dai toni a tratti grotteschi, con il famoso stilista a manifestare pubblicamente la propria rabbia (“Uno scandalo!”) salvo poi mandare un gigantesco mazzo di fiori al sindaco di Lugano Marco Borradori... Inquietante però il quadro di sfruttamento dei lavoratori, uscito da testimonianze di chi in passato lavorò per Plein. Ritmi impossibili, notti in bianco, trasferte a Cannes in regime di sostanziale schiavitù, malesseri psicofisici e licenziamenti di gruppo. Il Partito socialista, tramite una interrogazione, ha cercato di vederci più chiaro, su questo e altri possibili casi stile ‘Il diavolo veste Prada’’ (per chi si ricorda il film) che potrebbero annidarsi nello scintillante mondo della moda.

La risposta del Consiglio di Stato all’interrogazione di Ivo Durisch e cofirmatari è arrivata. Diciamolo subito: se qualcuno sperava di capire che cosa stesse succedendo nelle varie ‘maison’ in Ticino, resterà deluso. Appellandosi al segreto d’ufficio, “a tutela dei legittimi interessi privati” nessuna informazione viene fornita sulla reale consistenza della attività di Philipp Plein, che dichiara di impiegare 140 persone a Lugano e di fatturare 300 milioni di franchi.

Rilevate non conformità presso ditte del settore

Sulla questione dei controlli, il governo risponde sulla base della Legge federale sul lavoro (Ll) e relative ordinanze: “Il datore di lavoro deve permettere agli organi d’esecuzione e di vigilanza l’ingresso a tutti i locali dell’azienda, compresi i refettori e i soggiorni”; “L’organo di esecuzione può interrogare il datore di lavoro e, in assenza di terzi, i lavoratori nell’azienda sull’esecuzione della legge, delle ordinanze e delle decisioni dell’autorità”.

Che risultati hanno portato questi controlli? Sempre senza fornire cifre, il governo risponde e qualcosa traspare. L’Ufficio dell’ispettorato del lavoro (Uil) “negli ultimi anni ha effettuato diversi controlli nel settore della moda. In generale, le non conformità rilevate vanno dalla mancata registrazione degli orari di lavoro, al superamento della durata massima settimanale, come pure al mancato rispetto delle disposizione sul riposo giornaliero e la tempestiva presentazione dei piani di lavoro”. Ma quanti sono i lavoratori nel campo della moda? Non si sa. Gli addetti al ‘design industriale’ sono circa 300, 248 posti a tempo pieno, cifra in netta crescita negli ultimi anni (erano 63 nel 2011), e dovrebbe comprendere gli stilisti. Quanto al sindaco Marco Borradori e al vicesindaco Michele Bertini, e ai loro suggerimenti di un ammorbidimento delle norme in materia, per venire incontro a supposte particolari esigenze del settore moda, il governo è categorico: “Lo scopo della Legge sul lavoro è quello di proteggere i lavoratori dai danni alla salute connessi alle condizioni di lavoro”. “Si tratta di norme di protezione imperative, che rappresentano un minimo e alle quali non è consentito derogare per contratto”. Le eccezioni sono contemplate nell’ordinanza 2, e “tale ordinanza di rango federale, non prevede, attualmente, deroghe specifiche per aziende attive nel campo della moda”.

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