
Mera consulenza senza alcun potere decisionale, non era il responsabile della sicurezza bensì un addetto. Questo è il succo del contratto di lavoro per gli incarichi del suo assistito nel cantiere di AlpTransit di Sigirino citato dall'avvocato Sebastiano Pellegrini che tutela il sessantenne ingegnere, terzo imputato del processo sulla tragedia capitata il 22 settembre 2010 che costò la vita al minatore Pietro Mirabelli. Da qui la richiesta di proscioglimento del suo assistito a cui non possono essere chiesti risarcimenti di alcun genere. Già da questa premessa, agli occhi dell'avvocato, dovrebbe essere chiaro che le censure mosse al sessantenne "cadono nel vuoto", ha sostenuto l'avvocato. Pellegrini ha citato una serie di disposizioni sulla sicurezza e ripreso alcune testimonianze. Ma la tesi principale dell'avvocato è quella relativa ai compiti e alle funzioni che svolgeva il suo assistito regolate come detto dal contratto di lavoro.
Ebbene, non figurava fra i suoi compiti quello di verificare l'adeguatezza della formazione degli addetti ai lavoro, ha sostenuto il legale che ha sottolineato come l'ingegnere non era nemmeno in galleria quando è successa la tragedia. Come avrebbe potuto intervenire? Il sessantenne non poteva impedire né tollerare l'accesso di lavoratori nella zona di pericolo in cui si svolgevano le perforazioni. Non poteva quindi omettere di adottare le necessarie misure di sicurezza per i lavori in galleria. L'ingegnere non aveva nemmeno la funzione di verificare l'idoneità delle procedure di messa in sicurezza. Non essendo presente in cantiere, non poteva accorgersi che era stato posato sulla volta uno strato di calcestruzzo spruzzato di spessore inferiore rispetto a quello imposto dalle prescrizioni tecniche. Non aveva compiti di sorveglianza e nella denegata ipotesi che l'ingegnere sia ritenuto in qualche modo responsabile della tragedia, ha rimarcato Pellegrini, non c'é il nesso di causalità fra l'incidente il comportamento del sessantenne.