Michelle Aldini Parisi ha creato l’associazione per sostenere la ricerca e le famiglie colpite dalla rara malattia genetica di cui è affetta la figlia
Giulia ha 13 anni e una malattia genetica talmente rara e poco conosciuta, da non avere nemmeno un nome. Slc6a1 è infatti la sigla che identifica il gene mutato alla base della sindrome di cui è affetta, che a dipendenza dei casi provoca anomalie nell’attività elettrica del cervello (il gene in questione ha un ruolo chiave nella comunicazione tra le cellule cerebrali), causando varie forme di epilessia (assenze e crisi miocloniche-atoniche), ritardi nel linguaggio e nello sviluppo cognitivo, disturbi comportamentali e problemi di movimento. Sintomi (alcuni) condivisi con la Trisomia 21, di cui la ragazza è ugualmente affetta, rendendo ancora più difficile la diagnosi di encefalopatia epilettica Slc6a1, presente dalla nascita ma formulata solo lo scorso anno. I genitori (adottivi) di Sara si sono subito resi conto della difficoltà nel raccogliere informazioni e nel trovare interlocutori validi sulla rarissima malattia e così hanno deciso di fondare – l’assemblea costitutiva si è svolta sabato a Gordevio, dove vivono – la prima Associazione svizzera che si occupa di Slc6a1, da cui prende il nome.
«Chiaramente mia figlia è un caso unico perché ha anche la sindrome di Down, però calcolando la prevalenza in Svizzera dovrebbero esserci circa 250 casi di Slc6a1 (colpisce una persona su 38mila), anche se sono molti meno quelli diagnosticati – ci spiega la mamma di Giulia nonché presidente, Michelle Aldini Parise –. Abbiamo quindi deciso di creare l’Associazione Slc6a1 Svizzera anche per far emergere questi casi e mettere in contatto le famiglie, per le quali vorremmo diventare un punto di riferimento».
Punto di riferimento che è mancato a Giulia e a sua mamma Michelle, la quale ci racconta di aver «sempre nutrito una grande passione per il settore sociosanitario e per il lavoro a contatto con persone con disabilità (si è formata alla Supsi, ndr). Dopo la nascita del nostro primogenito, abbiamo adottato due bambine con la sindrome di Down: Sara (oggi 19enne, ndr) e Giulia. Tuttavia, ci siamo presto resi conto che qualcosa in Giulia non andava. Mostrava un ritardo profondo, era estremamente ipotonica, passiva, e si lamentava spesso durante la notte. La sua sofferenza era evidente, ma non riuscivamo a capirne la causa. Col tempo abbiamo compreso che il suo ritardo era così grave che non avrebbe mai sviluppato la capacità di parlare. Dalla bambina tranquilla e ipotonica che era stata inizialmente, Giulia ha iniziato, già nella prima infanzia, a manifestare una crescente agitazione. Con il passare del tempo è diventata sempre più irrequieta e aggressiva. La situazione è arrivata a un punto insostenibile: urlava ininterrottamente, a volte anche per 36 ore consecutive, picchiava, rompeva oggetti e vagava per casa senza scopo, come se fosse in preda a una forza incontrollabile. Rifiutava il cibo e l’acqua e si dimenava ogni volta che cercavamo di vestirla. A nove anni Giulia ha pure sviluppato un’epilessia grave per la quale nessuno dei tanti medicamenti provati si è rivelato efficace e la situazione è diventata quasi insostenibile per la nostra famiglia».
In un contesto del genere, la scoperta di una seconda malattia genetica (oltre alla Trisomia 21) ha rappresentato una svolta e ha portato nuova speranza nella famiglia valmaggese… «Sebbene l’epilessia possa essere presente nella sindrome di Down, la forma di Giulia era anomala. I medici hanno quindi ipotizzato la presenza di un’altra patologia e hanno eseguito una sequenziazione genetica, dalla quale è emersa la mutazione del gene Slc6a1. Questa diagnosi ha segnato una svolta radicale per noi, abbiamo capito che nel mondo c’erano altre persone che stavano affrontando lo stesso dramma con i loro figli e ci siamo sentiti un po’ meno soli. Abbiamo subito preso contatto con le associazioni mantello in tutto il mondo, siamo stati accolti calorosamente in quella che ci è apparsa come una nuova, grande famiglia. Abbiamo potuto condividere le nostre preoccupazioni e siamo stati capiti. Ciò che però veramente ha marcato un punto di svolta è stata la nostra possibilità di fare delle richieste terapeutiche molto più mirate. Inoltre abbiamo ritrovato la speranza che un giorno Giulia possa godere di una buona qualità di vita, una vita degna di essere vissuta. Se infatti fino a un decennio fa si sapeva poco o nulla di questa malattia rara, ciò che è stato realizzato negli ultimi anni ha dell’incredibile. Alcuni genitori di bambini affetti da mutazione del gene slc6a1 hanno trasformato radicalmente la loro vita per dedicarsi alla promozione della ricerca, alla creazione di sinergie tra industria farmaceutica, genitori, pazienti e ricercatori. Di fatto questa collaborazione ha permesso di avviare una prima importante sperimentazione clinica, nella quale è stato somministrato il Ravicti (farmaco orfano con principio attivo fenilbutirrato) a bambini affetti da slc6a1. I risultati molto positivi di questo studio, condotto dal dottor Zachary Grinspan del Children Hospital Colorado, verranno pubblicati a breve».
Sullo slancio della ritrovata speranza, Michelle Aldini Parise ha quindi «deciso di impegnarmi per sostenere la ricerca a favore della malattia di nostra figlia. Negli Stati Uniti, in Australia e in alcuni Paesi europei, la ricerca ha raggiunto un ritmo impressionante e visto che in Svizzera ancora un’associazione non c’era, ho deciso di colmare questo vuoto. Slc6a1 Svizzera (michelle.aldini.parise@slc6a1europe.org per informazioni) farà parte dell’Alleanza Slc6a1 Europa (a breve sarà online il sito, dove troverà spazio anche il sodalizio elvetico, ndr) che a sua volta collabora strettamente con l’associazione americana Slc6a1 Connect e con quella australiana Slc6a1 Kids».
Tra i compiti della neonata associazione quello di «individuare le persone diagnosticate in Svizzera e divenire per loro un punto di riferimento, dando la possibilità di incontrarsi e creare così una rete di auto aiuto. Dovremo inoltre provvedere a informare il personale sanitario riguardo alla malattia e collaborare con ospedali per creare dei centri specializzati per la mutazione del gene Slc6a1».
Un ruolo altrettanto centrale lo avrà la ricerca… «Cercheremo di individuare ricercatori e personale medico e connetterli alla nostra rete mondiale di ricercatori e dottori specializzati in mutazione del gene Slc6a1. Sarà nostro compito supportare, anche attraverso la raccolta fondi, i progetti di ricerca in Svizzera e collaborare con quelli all’estero. Insieme, vogliamo dare un futuro migliore a Giulia e a chi come lei soffre per questa malattia, famiglie comprese».