Clima rovente alla Carp per il terzo atto del processo per il rogo della Capanna Soveltra che vede quale principale imputato il presidente della Sav
«Arturo Rothen di fatto era il responsabile della Capanna Soveltra e non poteva non sapere delle carenze a livello di misure antincendio della stessa, per questo chiedo l’annullamento della sentenza di assoluzione – le cui motivazioni appaiono assai gracili e le conclusioni errate – e chiedo la condanna dell’imputato per incendio colposo».
È con queste motivazioni che il procuratore Moreno Capella ha in sostanza deciso di riportare per la terza volta nel giro di tre anni – ma a sette di distanza dai fatti – in aula il processo che vede quale imputato appunto il presidente (allora come adesso) della Società alpinistica valmaggese (Sav), secondo la pubblica accusa il principale responsabile del rogo che devastò la struttura ricettiva situata in territorio di Prato Sornico (Lavizzara).
I fatti risalgono, lo ricordiamo, al pomeriggio del 2 ottobre 2017, quando le fiamme divampate dal sottotetto a causa – si scoprì in seguito – di un difetto di costruzione della canna fumaria, divorarono la capanna posta a 1’530 m e ricavata da un vecchio stallone dell’alpe edificato nel 1927 dal Patriziato di Prato Vallemaggia, poi ceduto in diritto di superficie (in scadenza nel 2027) alla Sav, che lo aveva trasformato in capanna, inaugurata nel 1999 e gestita fino al rogo del 2017. Fortunatamente nessuno rimase ferito, ma la struttura, una delle più frequentate della regione (si trova ai piedi del Pizzo Campo Tencia) nonostante l’intervento in elicottero dei pompieri di Cevio e Lavizzara, fu gravemente danneggiata. Peraltro a pochi anni da una ristrutturazione che l’aveva portata a disporre di 40 posti letto, una cucina a gas e legna, servizi igienici, una sala per seminari e 22 posti letto, suddivisi in quattro camere. Da notare come dal giorno del disastro, quel che è rimasto dell’edificio si trova in una sorta di limbo, in attesa dei circa 500mila franchi dell’assicurazione (che però attende l’esito del processo) che la stessa Sav vorrebbe utilizzare per effettuare una ristrutturazione “light”, dopo che il Patriziato locale le ha negato l’acquisto del sedime.
Tornando a quel 2 ottobre 2017, secondo quanto appurato dall’indagine Rothen non era nemmeno presente in quota (fu il capannaro a dare l’allarme), ma nell’ottobre 2021 venne condannato in prima istanza dalla Pretura di Bellinzona (giudice Elisa Bianchi Roth) a una pena pecuniaria sospesa per il reato di incendio colposo, in quanto si scoprì che la capanna non aveva ricevuto l’abitabilità e non poteva quindi essere aperta. Una mancanza percepita però da tutti (imputato e autorità comunali compresi) come una pura formalità dopo 20 anni di utilizzo, secondo la giudice del processo-bis – tenutosi lo scorso aprile sempre in Pretura a Bellinzona dopo che la stessa Carp aveva accolto il ricorso della difesa – Elettra Bernasconi, ragion per cui quest’ultima aveva come detto prosciolto Rothen. A impugnare la sentenza è quindi stato il procuratore pubblico e per questo oggi a Giubiasco si è tornati di fronte alla Corte d’appello (presidente Giovanna Roggero-Will), che a questo punto dovrà decidere se accogliere la richiesta del pp e (ri)condannare l’imputato, o se confermarne il proscioglimento. In ogni caso, l’ulteriore (e ultimo) organo a entrare in gioco sarebbe il Tribunale federale.
«Il punto centrale non è cosa Rothen sapeva al momento della costruzione della capanna – ha sottolineato Capella – ma piuttosto le informazioni in suo possesso nel 2017, quando ha deciso di aprire la struttura alle stesse condizioni degli anni precedenti (quindi senza procedere ai necessari controlli), andando ben oltre i limiti del rischio ammissibile».
Per il magistrato, l’imputato aveva a disposizione «tutta una serie di indizi (l’assenza di un certificato antincendio, più volte richiamato dalle autorità; il fatto che il camino non fosse stato costruito secondo le norme e da persone non specializzate; le indicazioni di possibile pericolo d’incendio da parte dei tecnici intervenuti sul posto; un principio d’incendio partito proprio dal camino nel luglio 2016) che avrebbero dovuto portarlo a decidere di non aprire la capanna quell’anno».
E a prendere le decisioni in seno alla Sav, «era sempre e solo lui», ha ribadito il procuratore, che a tal proposito ha pure riproposto alcune domande (ad esempio proprio chi all’interno dell’associazione prende le decisioni, redige i verbali e li conserva, prende accordi con i capannari) all’imputato, il quale come in passato si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Le affermazioni della pubblica accusa hanno letteralmente scatenato la reazione dell’avvocato difensore, Marco Broggini, per il quale «qualcosa in questa storia non quadra, è incomprensibile che dopo sette anni siamo ancora qui a parlarne. Sin da subito si è deciso che il mio assistito doveva essere il colpevole e non si è andati oltre, ad esempio tirando in ballo ingegnere e metalcostruttore. Per non parlare delle tre persone (definite in modo più colorito da Broggini, ndr) che si trovavano in capanna e non hanno agito correttamente nel momento in cui è divampato il rogo, aspetto questo che il pp si è guardato bene dal citare».
La difesa ha anche respinto la descrizione di Rothen quale padre-padrone della Sav («che invece funziona nel rispetto delle regole come tutte le associazioni del nostro cantone, ossia con un comitato che prende le decisioni») e ha ribadito come per quel che riguarda l’abitabilità della struttura, «per 20 anni nessuno si è mai posto il problema, autorità comprese, e nessuno poteva immaginarsi il vizio di costruzione – peraltro minimo – né tantomeno l’incendio».
Broggini ha quindi concluso chiedendo, oltre alla conferma della sentenza di assoluzione, il risarcimento delle spese legali e il riconoscimento di un torto morale per accanimento da parte dell’accusa nei confronti del suo assistito, che dal canto suo ha ribadito di non essere disposto «ad assumermi colpe non mie, in quanto nessuno ha mai imposto a me o all’associazione la chiusura della capanna».