Bellinzonese

‘L’inchiesta uno zombie, l’atto d’accusa un mostro’

Processo Airlight, in tribunale le ultime tre arringhe: i difensori si battono per l’assoluzione dai reati fallimentari. Sentenza il 7 aprile

Il prototipo di Biasca
31 marzo 2023
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«L’inchiesta uno zombie che per anni ha vagato nei corridoi del Ministero pubblico. L’atto d’accusa un ‘monstrum’ pieno zeppo di errori». Non è andato per il sottile l’avvocato Paolo Bernasconi prendendo la parola oggi in Tribunale a Lugano durante l’ultima parte delle arringhe difensive del processo sul fallimento della Airlight di Biasca che vede alla sbarra cinque ex dirigenti accusati a vario titolo di cattiva gestione, amministrazione infedele aggravata, diminuzione dell’attivo ai danni dei creditori, favori concessi ai creditori. Sommate, le richieste di pena formulate il 22 marzo dal procuratore pubblico Daniele Galliano superano gli 8 anni di reclusione. Le difese si battono invece per l’assoluzione. Dopo gli avvocati Stelio Pesciallo per l’imputato Marco Zanetti (già amministratore unico della manufacturing di Biasca fallita nel settembre 2016 e membro Cda della holding di Lugano fallita nel 2017) e l’avvocato Mario Postizzi per Pasquale Cardarelli (già membro del Cda della holding), stamane è stato il turno degli altri tre legali.

‘Nave rimasta senza carburante’

L’avvocato Emanuele Verda a nome dell’ingegnere Federico Micheli (membro di Cda della holding e ultimo amministratore della manufactoring, rischia due anni di detenzione con la condizionale) ha criticato la scelta di accusarlo a prescindere dalle sue funzioni: «Ha esercitato con competenza e in buona fede nell’interesse della società. A suo carico solo speculazioni». Micheli descritto dal difensore come «uomo mite, diligente, preciso, dalle vaste competenze nelle energie rinnovabili. Il primo ingegnere italiano ad applicare il protocollo di Kyoto del 2005 con un progetto in Argentina. È stato coinvolto come consulente tirandosi addosso una grande magagna. Dopo aver verificato il rassicurante assetto societario, fatto di gente ragionata e cauta, ha accettato di entrare nel Cda con delega per gli aspetti tecnici, non per curare quelli commerciali o economici. E ha accettato di lavorare gratis, rinviando la remunerazione al dopo certificazione dell’impianto marocchino. Se paragoniamo Airlight al Titanic, lui non era sul ponte di comando, dove operavano i capitani. Era in sala macchine con l’ingegner Pedretti per portare a casa la certificazione che è arrivata purtroppo tardi. Perché nel frattempo aveva improvvisamente chiuso i rubinetti il gruppo di garanzia che fino ad allora aveva messo i capitali per il carburante. Ciò ha impedito alla nave di percorrere l’ultimo miglio fino al porto. E l'abbrivio non è stato sufficiente», dopo l’iniezione di oltre 50 milioni in dieci anni. «Quando a marzo 2016 capisce che la holding non avrebbe più finanziato – ha proseguito l’avvocato Verda – Micheli diligentemente versa gli ultimi salari di aprile, licenzia i dipendenti e deposita i bilanci. Dopodiché si è assunto l’onere di versare ratealmente di tasca sua oneri sociali per 800mila franchi. Una cosa è chiara: oggi non saremmo qui se ci fosse stata l’ultima, decisiva iniezione di capitali. La tecnologia certificata avrebbe potuto innescare contratti con i vari gruppi internazionali interessati, consolidando quindi la startup Airlight la cui attività è sempre stata un po’ a rischio, ma comunque certificata anno dopo anno dalla società di revisione». Un rischio «ben noto agli azionisti, i quali a torto ora avanzano pretese di risarcimento». Sempre l’avvocato Verda ha evidenziato che nella procedura fallimentare della holding la Pretura «ha accordato più differimenti senza designare un commissario: ha insomma ritenuto il Cda competente a procedere con le misure di risanamento indicate anche dalla società di revisione. Le prospettive di prosecuzione erano maggiori di quelle del fallimento».

‘Il cervello che faceva da fuochista’

Stando alla tesi accusatoria una parte del capitale societario, pari a 628mila franchi, sarebbe indebitamente finito ad Andrea Pedretti sotto forma di prestito ipotecario non restituito, retribuzione per ferie non godute (mai fatte in dieci anni) e bonus. Pedretti era il cervello della tecnologia Airlight, anche di taluni brevetti ceduti per evitare il fallimento: perciò andava tenuto stretto per giungere alla commercializzazione. L’avvocato Pierluigi Pasi durante l’arringa ha insistito sul fatto che l’attività svolta da Pedretti in qualità di direttore tecnico fosse «la condizione per ottenere l’omologazione e non ha certo rappresentato un danno per la società. Semmai ha contribuito a migliorarne le sorti. Non aveva alcuna autonomia gestionale, né poteva influenzare la conduzione finanziaria del gruppo. Tutto quanto da lui fatto per svariati anni, infine affinando l’impianto marocchino dalla sala comandi di Biasca e sul posto, ha ampiamente ripagato il prestito concessogli nel 2013. Il conteggio ore straordinarie è compatibile col suo reale impegno. Per nulla illegale, inoltre, il bonus di 200mila franchi; anzi usuale e previsto nel contratto di lavoro, a fronte peraltro di un suo brevetto venduto ad esempio per 2 milioni di franchi». Restando nel gergo navale, ha concluso l’avvocato Pasi, «a bordo del Titanic l’ordine dato dall’alto era “avanti tutta”. Nessuno gli ha mai accennato al rischio di dover depositare i bilanci. Pedretti il fuochista era alla fine della catena di comando, non in cima».

‘Nessuna distrazione di fondi’

Quindi parola all’avvocato Paolo Bernasconi, patrocinatore di Francesco Bolgiani, membro di Cda della holding sino all’autunno 2015: detto di zombie e mostri, il legale ha sottolineato che «quanto fatto dagli imputati non ha sfavorito Airlight e la sua holding, semmai il contrario, innescando l’afflusso di capitali freschi. Un risanamento che tra fine 2015 e inizio 2016 si reso possibile grazie anche alla postergazione di un credito fatto valere dallo stesso Bolgiani. Inoltre fra i classici indicatori dell’assenza di reati fallimentari vi erano sia le concrete trattative con gruppi multinazionali interessati alla tecnologia Csp, sia l’assenza di distrazione di fondi a proprio vantaggio». In replica, il pp Galliano ha respinto la tesi dell’atto d’accusa ‘monstrum’: «Tutti gli episodi elencati nel dettaglio sono andati a detrimento della Sa e dei suoi creditori, non a vantaggio come sostengono i difensori». Quindi, dopo le cinque dupliche, parola finale agli unici due imputati rimasti in aula. Zanetti ha ribadito di «non aver guadagnato un franco» e di aver agito «esclusivamente con la volontà di portare a compimento il progetto». Micheli ha sottolineato di aver lavorato «due anni gratis non solo in ottica certificazione Csp ma mirando alla firma di contratti commerciali con vari gruppi mondiali. Tutto era orientato a consolidare Airlight, farle cambiare pelle e darle un futuro. Ho paura di una condanna, ma ho visto con piacere che mi avete ascoltato». La sentenza sarà pronunciata venerdì 7 aprile.

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