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Liceo di Bellinzona, dure critiche al corpo insegnante

Alcune testimonianze raccolte dalla redazione sul periodo di lockdown parlano di docenti assenti e menefreghisti verso i bisogni didattici degli studenti

Insegnamento a distanza al Liceo, qualcosa non ha funzionato: dito puntato sui docenti (Ti-Press)
6 luglio 2020
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Se da una parte un discreto numero di studenti iscritti al Liceo di Bellinzona ha marinato le lezioni in tempo di coronavirus dopo la comunicazione del Decs secondo cui la promozione a fine anno sarebbe stata assicurata in virtù delle note ricevute sino a inizio marzo, e che per quelli di quarta non vi sarebbero stati esami di maturità, dall’altra un buon numero di docenti – stando a informazioni raccolte dalla 'Regione' – ha adottato un profilo basso. Lo ha fatto palesandosi unicamente via mail con l’invio – sporadico o massiccio a dipendenza dei casi, ma in ogni caso non coordinato – di esercizi, schede ed elementi nuovi senza un adeguato accompagnamento didattico che avrebbe richiesto spiegazioni tramite videolezioni e/o telefonate. Comportamento che ha obbligato lo studente a trasformarsi in autodidatta e che, proprio per questo, raccoglie le critiche oltre che dei liceali stessi, anche di alcuni genitori sentiti dalla redazione. Un agire avvenuto in barba alle direttive emanate dal Decs secondo cui “nel periodo d’insegnamento a distanza i docenti devono avere contatti personali regolari di interazione diretta con ogni allievo (ad esempio tramite telefono, videochiamata, ecc.) e prestare attenzione particolare ai riscontri delle classi e dei singoli allievi, come pure alle situazioni di fragilità e rischio. È necessario avere un occhio di riguardo anche per gli allievi che si ha l’impressione fatichino a seguire la didattica a distanza”. 

C’è chi si dice schifato dall’atteggiamento

Genitori delusi e preoccupati dunque per quanto accaduto, considerando anche le incognite sulla ripartenza scolastica immaginabile a settembre. Qualcuno si dice addirittura «schifato» - questo il termine usato - dall’atteggiamento del corpo insegnante. Stando alle testimonianze raccolte emerge che in media solo un docente su quattro o cinque si sia attivato proponendo videolezioni e interagendo con contatti frequenti. Per contro si sente parlare bene di come abbiano gestito il lockdown altre scuole medie superiori come Commercio, Arti e mestieri, Centro professionale sociosanitario.  

‘Un pessimo esempio per le nuove generazioni’

«Nel momento in cui ampie fette della popolazione hanno dovuto reagire e organizzarsi in mille modi per portare a casa almeno parte del salario - solleva la madre di un’allieva di prima - qui abbiamo visto una categoria di dipendenti dello Stato ricevere la paga al 100% prendendosi però la libertà di decidere come non proporre un adeguato insegnamento a distanza. Ritengo che il messaggio giunto dall’alto, che garantiva il salario pieno, sia stato disincentivante. Anche per una questione di solidarietà nei confronti di molte categorie di dipendenti e imprenditori fattisi in quattro per non affondare, più opportuno sarebbe stato condizionare una parte dello stipendio all’effettivo impegno dimostrato nel seguire le classi e gli studenti. Stiamo parlando di una categoria di professionisti che, pur considerando le difficoltà che essi stessi possono aver avuto tra le mura domestiche durante il lockdown, ha mancato l’occasione per dare l’esempio di come si può affrontare un periodo di crisi. In troppi casi l’esercizio si è limitato all’invio di materiale didattico, mentre è stata assente la parte dell’ascolto e la voglia di portare correttivi e migliorie nell’insegnamento a distanza laddove necessario. Settimana dopo settimana si è percepito chiaramente che l’opinione espressa dagli studenti, a volte singolarmente e altre volte in modo collettivo, non andava a sollecitare nel corpo insegnante alcuna riflessione o dibattito bidirezionale». L’impressione, conclude la nostra interlocutrice, «è che al Liceo di Bellinzona sia mancato un leader che sapesse indicare una strategia comune interna all’istituto, da strutturare coinvolgendo e motivando il corpo insegnante verso la sfida comune». 

La farsa dell’ultimo incontro a scuola

Per fare qualche esempio, il padre di un allievo di seconda rimarca la decisione di una docente di far svolgere una ricerca abbastanza importante, «infine valutata superficialmente con un laconico ‘bene’ o ‘male’, senza aggiungere indicazioni di dettaglio né correzioni utili a comprendere la qualità di quanto proposto dall'allievo. Nell’evoluzione scolastica di mio figlio, questo approccio contribuisce davvero poco. Ciliegina sulla torta la farsa dell’ultimo incontro di tre ore in presenza, al quale metà dei docenti era assente». In un caso – nel quale peraltro la maggior parte della classe non ha lesinato critiche verso il docente di classe e i suoi colleghi – risultano essere stati presenti solo due insegnanti su dodici. Tale atteggiamento, aggiunge il genitore, «non ha fatto altro che rafforzare l’opinione critica che molti allievi avevano del corpo insegnante già prima del lockdown. Molto apprezzato invece l’impegno di coloro, troppo pochi, che hanno proseguito l’insegnamento in video, una modalità nuova per tutti e recepita positivamente, specie dagli studenti che già avevano dimestichezza con i mezzi informatici». E sono la maggior parte.

Due sms contraddittori

Problematica – aggiunge il padre di un allievo di quarta ‘maturato’ senza esami finali – è stata la libertà d’azione lasciata ai singoli insegnanti: «Quando il Decs ha comunicato che non vi sarebbero stati gli esami finali, qualche istante dopo mio figlio ha ricevuto sul cellulare due messaggi. Nel primo un docente riteneva praticamente chiuso l’anno scolastico, nel secondo un suo collega indicava la volontà di proseguire l’insegnamento sino a fine anno. Considerando che le direttive del Decs erano chiare, mi chiedo se le abbia fatte rispettare intervenendo sulla Direzione dell’istituto, affinché questa spronasse il corpo insegnante ad applicarsi richiamando all’ordine i negligenti». Facendo un bilancio, «ritengo che la parte che ha lavorato seriamente farà meno rumore di quella che si è bellamente imboscata. La Direzione in realtà non ha controllato a sufficienza i docenti; per contro ho visto che la classe stessa vigilava e spronava taluni allievi, un po’ latitanti, a una maggiore presenza online».

Dal Decs in arrivo un sondaggio

Per capire cosa non abbia funzionato a dovere al Liceo di Bellinzona nell'insegnamento a distanza e invitati a interpellare il Dipartimento educazione, cultura e sport dal direttore Omar Gianora cui ci siamo rivolti in prima battuta, abbiamo contattato il direttore della Divisione della scuola Emanuele Berger, il quale non intende al momento esprimersi sul caso specifico dell’istituto scolastico bellinzonese. A tal proposito Berger anticipa che settimana prossima è previsto il lancio di un sondaggio sull’insegnamento a distanza nel livello post obbligatorio, sulla falsariga di quello effettuato dal Centro competenze innovazione e ricerca sui sistemi educativi (Cirse) tra famiglie, allievi e docenti delle scuole obbligatorie ticinesi. In quel caso il sondaggio ha coinvolto 18’629 famiglie, 2’913 docenti e 175 quadri scolastici, le cui risposte intermedie (il rapporto finale è previsto a fine agosto) hanno espresso perlopiù soddisfazione, ricorda Berger. «È difficile basarci su singole testimonianze. Abbiamo deciso di commissionare il sondaggio anche per le scuole medie superiori di tutto il cantone proprio per poter avere un quadro completo di com’è andata l’esperienza», risponde il coordinatore del Decs.

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