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Covid-19, l'equità di un vaccino obbligatorio

L'immunità è un bene pubblico e come tale tutti devono dare il proprio contributo. Intervista a Alberto Giubilini dell’Università di Oxford

Uno dei vaccini per il nuovo coronavirus attualmente in fase di sperimentazione. Una volta ultimato, il vaccino non sarà disponibile all'intera popolazione, ponendo il problema di quali gruppi vaccinare per primi (©Keystone)

L'immunità è un bene pubblico e come tale tutti devono dare il proprio contributo. Intervista a Alberto Giubilini dell’Università di Oxford

23 maggio 2020
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Il vaccino per il nuovo coronavirus è ancora in fase di sviluppo, ma già si inizia a riflettere sulla sua diffusione: mentre c’è chi si preoccupa di renderlo disponibile a tutti – la Confederazione ha preventivato 300 milioni di franchi e l’Oms ha avviato un progetto con numerosi partner per garantirne la distribuzione globale –, c’è chi ha già espresso la propria perplessità, e non si tratta solo di complottisti con le loro infondate teorie su virus creati in laboratorio per arricchire le case farmaceutiche.
In Svizzera, la Legge sulle epidemie prevede che in caso di “pericolo considerevole”, si possano “dichiarare obbligatorie le vaccinazioni di gruppi di popolazione a rischio, di persone particolarmente esposte e di persone che esercitano determinate attività”. Ma al momento non sembra essere questa l’intenzione delle autorità.

Ne abbiamo parlato con Alberto Giubilini del Uehiro Centre for Practical Ethics dell’Università di Oxford e autore del saggio ‘The Ethics of Vaccination’ (Palgrave Pivot 2019).

Parliamo di un vaccino che ancora non esiste, per una malattia fino a qualche mese fa sconosciuta. Dal punto di vista etico, cambia qualcosa rispetto ad esempio al vaccino per il morbillo?

Un primo aspetto è che gli argomenti a favore dell’obbligatorietà dei vaccini in una situazione “normale” sono secondo me ancora più forti adesso: per tornare alla normalità sarà necessario non solo avere un vaccino, ma anche che più persone possibile si vaccinino.

C’è poi un altro aspetto: per quanto la ricerca per questo vaccino stia procedendo molto più velocemente rispetto a quello che succede di solito, ci sarà comunque un problema di disponibilità del vaccino, perché una cosa è sviluppare il vaccino, un’altra è produrlo in quantità sufficienti per coprire la popolazione mondiale. La domanda che dovremo porci sarà quindi da chi iniziare a dare il vaccino. Il personale sanitario sarà probabilmente il primo gruppo, perché sono le persone più esposte e perché devono curare i pazienti.

Il secondo gruppo?

Qui si pone il problema dell’obbligatorietà. Inizialmente il vaccino sarà disponibile in un numero limitato di dosi, per cui bisogna trovare la strategia più efficace per proteggere la popolazione, per raggiungere la cosiddetta immunità di gregge: superata una determinata soglia, che cambia a seconda della malattia, il contagio si arresta e anche chi non è immune è protetto dagli altri.
Ora, se guardiamo al vaccino antinfluenzale, vediamo che la strategia migliore sarebbe vaccinare bambini e giovani: questo perché il vaccino è meno efficace sulla popolazione anziana. Vaccinare i più giovani protegge direttamente loro e indirettamente gli anziani. Se il vaccino per il nuovo coronavirus sarà come quello per l’influenza, il modo più veloce per arrivare all’immunità di gregge sarà vaccinare i giovani, non gli anziani.

Anche se non sono a rischio.

Certo non è intuitivo: sappiamo che sono gli anziani a correre maggiori rischi e diamo il vaccino ai bambini. Ma potrebbe avere senso.
La cosa davvero importante è che se decideremo di fare così, se decidiamo di vaccinare un gruppo anche per proteggerne indirettamente un altro, allora è importante che la copertura vaccinale all’interno del primo gruppo sia la più alta possibile. Il che secondo me significa che il vaccino dovrà essere obbligatorio, innanzitutto perché l’obbligo vaccinale si è rivelato efficace, ad esempio in Italia. Ma il vero punto è una questione di equità.

L’immunità di gregge è un bene pubblico: tutti ne beneficiamo, chi è vaccinato e chi non è vaccinato. E questo sarà anche più vero per il nuovo coronavirus, visto che raggiungere l’immunità di gregge significherà ad esempio far ripartire l’economia.

Questo però mi sembra un argomento per un ‘dovere morale’ di vaccinarsi. Ma la morale è distinta dal diritto: ci sono tante azioni moralmente giuste, penso alla beneficenza, che però non sono obbligatorie.

Giustamente non tutti i doveri morali si traducono in doveri legali e dobbiamo quindi chiederci quando questo accade. La risposta è che quando i beni pubblici in questione sono molto importanti per la società, e l’immunità di gregge certamente lo è, diventa importante che ognuno dia il suo contributo. Come accennato, è una questione di equità.
L’intervento coercitivo dello stato garantisce a ogni individuo che anche gli altri individui faranno la loro parte. Si tratta di una cosa molto importante per via del cosiddetto ‘problem of assurance’, un meccanismo psicologico per cui io sono motivato fare la mia parte per il bene pubblico solo se ho sufficienti garanzie che anche gli altri lo fanno – anche perché da solo il mio contributo è insignificante.

L’analogia che faccio spesso è con le tasse: se scopro che il mio vicino non le paga, io giustamente mi arrabbio. Ma non perché senza le sue tasse lo stato non riesce più a garantire i servizi: il suo contributo, come il mio, sono singolarmente insignificanti. È una questione di correttezza verso gli altri, di equa distribuzione degli oneri per il mantenimento di un bene pubblico. Gli oneri devono essere divisi in modo equo; il che non significa che ognuno debba dare lo stesso contributo: le tasse sono proporzionali al reddito; per il vaccino dobbiamo escludere ad esempio gli immunodepressi per i quali certe vaccinazioni sono sconsigliati.

Però negli ambienti libertari la tassazione è considerata un furto, non un dovere.

È vero. Ma che tu sia libertario o meno, lo stato le tasse te le fa pagare lo stesso: puoi pensare che sia un furto, possiamo discutere della liceità della tassazione, ma intanto le paghi. E lo stesso possiamo farlo con i vaccini: poi ne parliamo, ma intanto ti vaccini. Perché l’importante è raggiungere la copertura vaccinale, il bene pubblico dell’immunità di gregge.

Il vaccino obbligatorio "è una questione di correttezza verso gli altri, di equa distribuzione degli oneri per il mantenimento di un bene pubblico”.

L’obbligatorietà non rischia di essere controproducente? Alla base della ‘esitazione al vaccino’ c’è spesso una scarsa fiducia nelle autorità sanitarie e politiche che non si risolve con un obbligo…

Ma se non avessimo l’obbligo queste persone sarebbero più propense a vaccinarsi? Mi pare difficile pensarci.
Poi è ovviamente preferibile che le persone si vaccinino non perché obbligate ma perché vogliono farlo. E per questo serve una certa fiducia nelle istituzioni pubbliche: il fatto che molte persone non la abbiano è un problema da affrontare – e va detto che spesso la colpa non è delle persone ma delle istituzioni che comunicano in modo sbagliato, senza trasparenza. Ma con certi complottisti più di tanto non si può fare.

L’obbligatorietà diventa quindi necessaria?

È il modo con cui riusciamo a vaccinare anche queste persone. Poi idealmente possiamo volere un sistema in cui queste persone si vaccinano senza essere costrette, ma non sono sicuro che la cosa funzionerebbe. Senza obblighi legali, la copertura vaccinale cala o è comunque instabile: qui in Inghilterra, dove i vaccini non sono obbligatori, avevamo livelli sufficienti per il morbillo, ma negli ultimi anni è scesa e quando ti accorgi che scende è troppo tardi.

Se si obbligano le persone a vaccinarsi, forse non si ottiene la loro adesione tramite il convincimento e l’informazione corretta, ma la si ottiene con i dati, perché a quel punto l’utilità dei vaccini la si vede. È come con le cinture di sicurezza nelle auto: ho fatto alcune ricerche e quando è stato introdotto l’obbligo in molti erano contrari e con argomenti simili a quelli dei vaccini. Secondo alcuni era un favore alle lobby dei produttori di cinture di sicurezza, secondo altri lo stato non può obbligare le persone a proteggersi, altri ancora esageravano i rischi che la cintura può portare in certi casi rari. Adesso tutti le allacciano e la stragrande maggioranza delle persone pensa che l’obbligo sia giustificato.

Però il vaccino, al contrario delle cinture, quando funziona non si vede, perché la malattia non circola più…

Proprio per questo, proprio perché rischiamo di dimenticarti la gravità di certe malattie, è importante l’obbligatorietà.

Si potrebbe iniziare con raccomandazioni e incentivi, e solo se le coperture restano basse passare all’obbligatorietà.

È un’obiezione che mi fanno spesso i sociologi: usare l’obbligo solo in caso di emergenza. Non sono d’accordo innanzitutto perché non sarebbe equo: avremmo parte della popolazione che non dà il proprio contributo. Ma ammettiamo che l’equità non sia un problema, che ci sta bene che alcuni usufruiscono dell’immunità di gregge senza contribuire: perché dobbiamo aspettare l’emergenza, perché aspettare che la copertura scenda sotto la soglia dell’immunità di gregge mettendo in pericolo il bene pubblico della salute? Questo è ancora più vero per il nuovo coronavirus.

Un aspetto importante è che se c’è l’obbligo, le persone devono essere messe nelle condizioni di potersi vaccinare nel modo più sicuro, efficace e facile possibile. Sulla sicurezza e l’efficacia non ci sono problemi: non verrebbero messi in commercio, altrimenti. E questo vale anche per il vaccino per il nuovo coronavirus: si sta andando molto veloci perché ci sono importanti investimenti, non perché la sperimentazione viene fatta in maniera meno rigorosa. Ma il vaccino obbligatorio deve essere anche semplice ed economico: impensabile far pagare grossi importi alla popolazione.

"Se c’è l’obbligo, le persone devono essere messe nelle condizioni di potersi vaccinare nel modo più sicuro, efficace e facile possibile”.

Vaccino obbligatorio, quindi. Ma con quali sanzioni andrebbe imposta questa obbligatorietà?

Ci sono molte soluzioni possibili, dal carcere alla semplice multa ad altre soluzioni come negli Stati Uniti, dove è perfettamente legale non vaccinare i bambini, però non possono andare a scuola e devono fare ‘home schooling’.
Occorre trovare un livello che sia accettabile: in Italia una multa di 500 euro è stata ad esempio sufficiente a innalzare la copertura, ma la situazione può ovviamente cambiare da Paese a Paese. In Australia ad esempio lo stato toglie alcuni benefici alle famiglie che non vaccinano i figli. Non penso esista la sanzione ideale, tutto dipende dal contesto; quella che proprio non mi piace è la soluzione statunitense di tenere i bambini a casa da scuola, perché facciamo pagare ai bambini le scelte dei genitori.