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'Pantani non fu ucciso'. Il caso è chiuso

28 settembre 2017
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Marco Pantani non fu ucciso. Lo stabilisce la Corte suprema di cassazione, ossia l'ultima istanza nell'ordinamento giuridico italiano, che dichiara inammissibile il ricorso della famiglia del campione di Cesenatico, chiudendo definitivamente il caso sulla sua morte dell'ex campione e spazzando via ogni ipotesi alternativa all'assunzione volontaria di una dose letale di cocaina e psicofarmaci. Nessun complotto, quindi. Nessun intervento estraneo nella stanza del residence Le Rose di Rimini, dove il corpo del ciclista fu trovato la sera di San Valentino del 2004. Era la tragica fine in solitudine di una superstar dello sport, di una carriera spezzata dal doping dopo aver scalato le vette d'Europa, raggiungendo l'apoteosi con la doppietta Giro-Tour nel 1998. Indagini, processi e accuse ne avevano fiaccato l'animo e la psiche, la droga lo aveva sconvolto, la depressione lo aveva portato a isolarsi e a detestare la bicicletta. Sulla sua morte scattarono subito indagini a cui venne data priorità assoluta e la squadra mobile di Rimini tre mesi dopo arrestò le persone ritenute responsabili di aver fornito a Pantani la cocaina dell'overdose letale. Seguirono i giudizi, con tre patteggiamenti e un'assoluzione in Cassazione. Ma non era abbastanza per i genitori di Marco. La mamma, Tonina, non ha abbandonato l'idea che qualcuno abbia assassinato il figlio. E così, a dieci anni dalla morte, affidandosi all'avvocato Antonio De Rensis ottenne la riapertura delle indagini sollevando una serie di dubbi e di questioni, seguita da forte risalto mediatico, ma anche dallo scetticismo di chi conosceva le carte processuali. La Procura riminese, dopo aver scandagliato a distanza di anni la scena, aver rivisitato tutti gli atti e disposto una nuova consulenza medico-legale, a settembre 2015 concluse che non c'erano misteri, e chiese l'archiviazione. Non era emerso neppure il nome di un possibile sospettato, diverso dalle persone già processate, né un ipotetico movente: Pantani è morto per un'azione prevalente di psicofarmaci, così da far pensare più a una condotta suicida, che ad un'overdose accidentale. L'omicidio «è un'ipotesi fantasiosa, una mera congettura» confermò il Gip Vinicio Cantarini, nell'archiviazione.
Il tentativo estremo della famiglia, ossia impugnare il provvedimento in Cassazione, si scontra adesso con una dichiarazione di inammissibilità, di cui ancora non si conoscono le motivazioni. Dopo che pure il secondo fronte aperto dalla famiglia a distanza di anni, con un esposto sull'ipotesi di un'intervento della Camorra al Giro d'Italia del 1999, un presunto complotto che avrebbe portato all'esclusione del Pirata nella tappa di Madonna di Campiglio, si era concluso nell'agosto dell'anno scorso con un'archiviazione, a Forlì. Soltanto ombre, rimaste tali per le indagini.

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