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La difficile storia di Fonio: 'Il peggio è stato sentirsi diverso'

(Benedetto Galli)
1 febbraio 2017
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Oggi ha 32 anni, una moglie, due figli e una carriera politica e professionale. Ma l’infanzia di Fonio non è stata facile.

«L’ingiustizia è anche quello che ti riserva la vita. Mentre i miei compagni andavano a giocare al campetto, dopo la scuola io rientravo mestamente in collegio. E sentivo di non essere come loro». Chiara la premessa: «Non parliamo di politica». Ma poi non è che sia così facile. Perché oggi che ha trentadue anni, «e fra un po’ trentatré», Giorgio Fonio è granconsigliere e vicepresidente del Ppd. E quindi la politica fa inevitabilmente capolino tra le pieghe della sua storia. Una storia difficile. «Non penso – racconta tuttavia Fonio – di essere mai stato arrabbiato con la vita. È importante sapere che le difficoltà possono arrivare. E che con la forza di volontà...».

… si cerca di andare oltre? 
Sì. Mi ricordo quando è morta mia madre. Era un momento in cui le cose sembravano migliorare: ero in quarta Media e, dopo cinque anni di collegio, sarei forse potuto finalmente tornare a casa. Era maggio – la data esatta non riesco a ricordarla, è un dettaglio che ho rimosso –, e mi ha convocato il direttore. Era morta mia madre, all’improvviso. Ancora una volta, si ricominciava da zero. Da un altro collegio, questa volta a Mendrisio.

Come mai in collegio?
I miei genitori si sono separati quando ero molto piccolo. Poi per tutta una serie di problematiche familiari, in quinta Elementare sono andato al Von Mentlen di Bellinzona. C’era ancora don Pierino Lavizzari, una persona straconosciuta. Ho svolto l’ultimo anno di Elementari in internato e poi sono andato alle Medie, nella scuola pubblica.

Sempre tornando la sera il collegio? 
Sì ed ero l’unico in quella classe. Mi sentivo diverso dagli altri.

E come si vive la diversità? 
La vivi. Sei in una realtà dove tutti i ragazzi arrivano dalle Elementari e si conoscono. Io invece ero un po’ impaurito. Non era facile. Ma penso ci siano due modi per affrontare le difficoltà che la vita ti pone di fronte: puoi crollare, chiuderti e diventare insensibile, oppure puoi maturare una sensibilità particolare. In ogni caso, nel percorso che ho vissuto ho potuto toccare con mano tutta una serie di criticità di cui oggi si dibatte.

Come il rapporto tra scuola e inclusione. Ne terrà conto quando sarà in prima linea nel dibattere la riforma ‘La Scuola che verrà’? 
In effetti la scuola inclusiva l’ho vissuta sulla mia pelle e grazie agli insegnanti che mi hanno seguito, e penso soprattutto alla docente di classe Ornella Coli, ho imparato a non sentirmi escluso. Penso che per il futuro questo sistema vada valorizzato ulteriormente: la cosa peggiore è escludere le persone.

Ma in questa società si corre ancora il rischio di sentirsi escluso? 
Sì. Anche perché nel frattempo la società non è migliorata. E più le scuole e gli educatori si sentono sotto pressione e più si rischia di mettere in difficoltà il sistema. Va riscoperta una certa solidarietà.

Ha avvertito solidarietà da bambino? 
Il collegio rappresenta una delle parti più importanti della mia vita. Gli educatori svolgono un lavoro immenso: ho avuto a che fare con persone fantastiche, confrontate con situazioni drammatiche e che devono gestire adolescenti nella fase peggiore. Sono stato fortunato a incontrare le persone giuste, non da ultimo mia moglie che mi ha dato due bambini.

Anche in politica ha conosciuto le persone giuste? 
Sì. Troppi pensano che la politica sia un covo di figli di papà, di privilegiati che non hanno mai fatto fatica. Non è così. Il parlamento rappresenta tutta la società.

Ma essere figlio di qualcuno aiuta. 
Beh (ride, ndr), diciamo che ‘non esserlo’ rende le cose più difficili. Per entrare in Gran Consiglio mi sono dovuto candidare tre volte. In ogni caso, nel mio partito sono stato accolto a braccia aperte, nonostante la mia storia difficile. La fiducia che mi ha accordato Fiorenzo (Dadò, ndr) non può che emozionarmi.


IL SINDACATO
‘Ricordo mia madre che lavorava in nero. Ho maturato una sensibilità’

Fonio ha vissuto un’infanzia difficile. Per questo ha voluto testimoniare la disperazione dei campi profughi? 
Nei miei 32 ho subito ingiustizie e ho quindi maturato la voglia di combatterle. E per me quanto vivono queste persone è un’ingiustizia da denunciare pubblicamente. Chi fa il politico deve avere il coraggio di denunciare queste situazioni.

Lei però non è solo un politico. 
È anche e soprattutto un sindacalista Ocst. 
Il sindacato è la mia seconda casa, qualcosa di fantastico che ti permette quotidianamente di combattere ciò che non va, di aiutare chi ha problemi. E anche qui, molto nasce dal mio vissuto.

Da quali esperienze in particolare? 
Mi ricordo che ogni tanto accompagnavo mia madre che faceva pulizie. E le faceva in nero. Vedevo la sua fatica, la fatica di impegnarsi per guadagnare quel poco per poterci dare da mangiare.

Anche l’opinione pubblica avverte che qualcosa non va nel mondo del lavoro. Come giudica la reazione? 
È sbagliata. Spesso di fronte a una situazione di difficoltà si dà la colpa a qualcun altro. Sarebbe invece meglio ribellarsi, darsi da fare, combattere.

Come ha fatto lei bloccando il Cisalpino alla stazione di Chiasso? 
Era un’ingiustizia che quel treno non fermasse a Chiasso!

Torniamo al sindacato. Oggi non sempre è ben visto. Come mai? 
Il sindacato fa parte di un sistema messo in discussione da chi ha bisogno di un nemico per giustificare delle mancanze presenti all’interno della società. Che cosa intendo dire? Che oggi il sindacato è un’organizzazione che tutela i lavoratori nella sua totalità. E ciò disturba chi mira a dividere i salariati tra noi, voi, loro.

Qualcuno critica che i sindacalisti abbiano i piedi al caldo. 
Non li ho mai avuti. Come ogni mattina io e i miei colleghi ci alziamo, cercando di dare un contribuo al Cantone. E il contesto in cui ci troviamo non è dei più facili.

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