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Neve scarsa, ‘impianti da aiutare anche se non autosufficienti’

Nel 2023 cambia la chiave di riparto del credito quadro. Rizzi (Dfe): ‘Progetti per destagionalizzare sulla buona strada’. Ma le prospettive?

(Ti-Press/laregione)
11 gennaio 2023
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Manca la neve. La stagione invernale in corso rischia infatti di passare agli archivi come una delle più calde mai registrate. Un bel problema per le stazioni sciistiche ticinesi che già negli scorsi anni – complice la pandemia e le conseguenti restrizioni – hanno vissuto inverni meno positivi di quelli precedenti. E il 2023 sarà importante anche perché cambia la chiave di riparto per la seconda tranche del credito quadriennale da 5,6 milioni – votato nell’ottobre del 2021 dal Gran Consiglio – a sostegno degli impianti sciistici di Airolo, Bosco Gurin, Campo Blenio, Carì e Nara. Il nuovo approccio, era stato spiegato due anni fa, sarà meno legato a cifre e percentuali e più di concetto. In altre parole: verrà sostenuto soprattutto chi sta lavorando a progetti legati a destagionalizzazione e riduzione dei costi. Un percorso non facile, «ma siamo su una buona strada» conferma Stefano Rizzi, direttore della Divisione dell’economia. «Gli impianti di risalita stanno portando avanti i loro progetti, necessari per non dipendere esclusivamente dalla stagione invernale e dall’innevamento». Un aspetto, quest’ultimo, diventato particolarmente evidente nel momento attuale, con gli impianti costretti dalle alte temperature e dalla mancanza di neve a tenere chiuso o a proporre un’offerta ridotta. A essere cambiati, prosegue Rizzi, sono anche il clima e i rapporti tra le varie stazioni sciistiche. «Rispetto a qualche anno fa c’è maggiore condivisione e unità d’intenti. Si sta lavorando, oltre che per la destagionalizzazione, anche per una collaborazione interaziendale in materia di marketing e vendita nonché nell’ambito della manutenzione». La tabella di marcia quindi è chiara: «Nel 2022, con un nostro costante monitoraggio, si è lavorato intensamente sia sui progetti comuni che sulle iniziative delle singole stazioni e i risultati saranno condivisi a livello politico nel corso dei prossimi mesi».

‘Bisogna accettare pure delle chiusure’

E se per la seconda metà del credito non si prospetta una grande discussione, così potrebbe non essere tra due anni, quando si parlerà di un nuovo aiuto quadriennale. «È una discussione che torna ciclicamente. Ma vedo molto difficile che il sostegno venga aumentato», afferma Paolo Pamini (Udc). «Non ci sono soldi per aiuti più significativi, come conferma anche la recente notizia dei mancati contributi ai Cantoni da parte della Banca nazionale (il Ticino contava di ricevere 137 milioni, ndr). È già bello se si potrà mantenere il sostegno attuale». La strada non è quindi tutta in discesa e per Pamini «non deve essere un tabù ammettere che una struttura non è più al passo con il contesto». Quella della chiusura, sottolinea il deputato Udc, deve però essere «l’estrema ratio. Prima ci sono tante altre possibili soluzioni da valutare». Tra queste, spiega Pamini, «ci possono essere delle conversioni ‘ibride’, con attività sia invernali che estive, o ‘totali’ con offerte solo per la stagione più calda. Un esempio concreto che abbiamo in Ticino è il Monte Tamaro, che ha trovato la sua dimensione dopo anni di difficoltà dovuti alla carenza di neve». E in questa conversione anche lo Stato può intervenire. «La mano pubblica potrebbe fare la sua parte, magari dichiarando la struttura fiscalmente esente perché le si riconosce un’utilità educativa e di promozione dello sport. A condizione però – precisa Pamini – che ci sia anche un investimento privato. Non devono essere aiuti a fondo perso».

‘Meglio il sostegno che l’abbandono’

«Ciò che non è autosufficiente ma è particolarmente utile per le esternalità che crea, merita di essere dismesso o merita di essere aiutato?», si chiede, per rispondere alle possibili obiezioni, Michele Guerra, tra i relatori del rapporto commissionale del 2021. «Gli impianti a fune, per la maggioranza, non sono e probabilmente non saranno mai totalmente autosufficienti – valuta il deputato leghista –. Però generano turismo, generano indotto, generano tanti posti di lavoro e, quasi sempre, per le piccole comunità montane, sono una vera e propria boccata d’ossigeno. Di fronte a questo, le alternative sono due: o li si abbandona, magari con la scusa che il clima sta cambiando, perdendo turismo, indotto e lavoro in zone periferiche, o si applica il principio della solidarietà e li si aiuta, però con un disegno chiaro a medio e lungo termine». Guerra ricorda che il Gran Consiglio, dieci anni fa, ha deciso di percorrere questa seconda via «capendo i vantaggi di mantenere in vita queste strutture. Vantaggi ben superiori rispetto all’abbandonarle. Lo ha però fatto, e oggi lo fa nuovamente, con la spinta a che queste possano continuamente migliorarsi, trovare nuove vie e condurre una sempre maggiore conversione estiva e sulle quattro stagioni in genere, preso atto anche e soprattutto del cambiamento climatico che fa derivare la sopravvivenza dall’adattamento». Tutte cose che però, secondo il granconsigliere della Lega, «non possono avvenire subito o per magia, considerate peraltro le difficoltà di alcuni di questi impianti. Ma sono cose che giustamente, come parlamento, richiamiamo anche oggi: aiutare, continuare a sostenere, comprendendo nel disegno l’importante logica della destagionalizzazione».

‘Salvare lo sci, anche con la neve artificiale’

Correlatore del rapporto era anche Bixio Caprara che, ribadendo la sua posizione sul tema, tiene innanzitutto a fare una distinzione di principio: «Queste stazioni sono da sostenere in quanto impianti sportivi, non in quanto impianti turistici generici. Così come l’ente pubblico assicura la gestione di campi da calcio, piscine, palestre, si giustifica che lo faccia anche con le infrastrutture per la pratica dello sci». Diverso, per Caprara, è appunto il discorso per gli impianti prettamente turistici, «come le stazioni estive che non vengono direttamente sovvenzionate dallo Stato nella loro gestione». Il concetto di destagionalizzazione, precisa il deputato Plr, indica un’attività estesa sull’intero arco dell’anno: «Non vuol dire dismettere le pratiche invernali e puntare solo su quelle estive, ma cercare di integrare anche altre attività che consentano un’estensione della stagione. In queste zone però è ben evidente che l’attrattiva delle discipline invernali rimane quella decisamente più importante a livello numerico». Fatta questa premessa, per il deputato Plr «il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti. Rilevo comunque che nonostante la penuria di neve di questo inverno tre impianti su cinque – Airolo, Carì e Campo Blenio – grazie a un ottimo lavoro sono riusciti ad aprire durante le vacanze natalizie assicurando la promozione dello sport sulla neve, in particolare per i giovani, che a mio avviso è prioritario e bisogna salvaguardare. Il rischio altrimenti è che non vadano più sulle montagne. In tal senso penso sia estremamente importante sostenere le scuole svizzere di sci e gli sci club. E questo è possibile anche grazie al corretto uso degli impianti di neve programmata che sono sempre più indispensabili». Secondo Caprara in Ticino la neve artificiale non deve quindi essere un tabù: «Evidentemente non bisogna estenderne l’impiego senza criterio, ma definire una certa quota limite e individuare i posti in cui sia ragionevolmente sostenibile». A favore della sua visione il granconsigliere Plr traccia due parallelismi: «Un tempo si andava a pattinare sui laghetti gelati, poi si sono costruite le piste di ghiaccio. Anche il nuoto in passato si praticava solo nei laghi e nei fiumi, e in seguito si è arrivati alle piscine coperte. Questo per dire che gli adeguamenti ci sono sempre stati e non bisogna temerli».

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