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Sinistra, sinistre: la guerra tra Mps e Ps

Governo/opposizione, palazzo/piazza, collegialità/movimentismo: le ragioni di un dissenso ‘cromosomico’ che minaccia il seggio al governo

Trotsky
(Wikipedia)

La politica e la guerra hanno radici comuni: “polis” e “polemos”. Perciò non sorprende che nel dibattito politico si ricorra largamente alla terminologia militare. Già è possibile udire i primi scoppiettii in vista delle elezioni cantonali, in agenda il 2 aprile 2023. Piccole manovre, che poi diventeranno grandi dal prossimo autunno; scaramucce sparse e formazione di capisaldi, in attesa della guerra di movimento. E infine gli immancabili duelli, specie a sinistra, che teme di perdere il seggio in Consiglio di Stato. Questa volta, si dice, toccherà di nuovo a una donna scendere nell’arena (sinora nessun uomo ha manifestato l’intenzione di candidarsi). I liberali-radicali vorranno verosimilmente tornare a dirigere il Dipartimento educazione, in mano socialista dal 2011 (tre legislature).

Ma che volto avrà la sinistra l’anno venturo, questo arcipelago frastagliato che da sempre (si è tentati di dire, fin dal suo apparire sul palcoscenico della storia) ama litigare, combattersi e alla fine imboccare strade divergenti senza più guardarsi in faccia?

Il gruppo socialista è ovviamente inquieto dopo le sconfitte sulle sperimentazioni nella scuola. L’ultima, quella riguardante i livelli, sarebbe passata in parlamento se il gruppo rivale, il Movimento per il Socialismo (Mps), l’avesse appoggiata come hanno fatto i compagni comunisti, il Partito dei verdi e Più Donne. Così non è stato, scavando fossati e alimentando inimicizie che non sarà facile superare nei prossimi mesi.

Il fatto è che l’animosità tra le parti viene da lontano. Ps e Mps sono spesso in contrasto, e fin da quando si conoscono. Oltre che sulla scuola, hanno visioni diverse sugli ospedali, sul salario minimo (iniziativa promossa dai Verdi), sulle scelte della città di Bellinzona (retta da un sindaco socialista) e da ultimo sui piani urbanistici di Lugano. Per l’ultima campagna sul Polo sportivo e degli eventi, l’Mps ha valicato il Ceneri, riuscendo a portare alle urne i cittadini luganesi. Alla resa dei conti il referendum è stato bocciato (56,8 no contro 43,2 sì), ma anche qui lasciando sul terreno scorie emotive, dissapori e amarezze.

All’origine c’è una differenza cromosomica: ideologica, politica, organizzativa.

L’ideologia

Il Pst muove i primi passi al tramonto dell’Ottocento, per costituirsi in partito all’alba del XX secolo; è un socialismo di frontiera, in cui confluiscono varie correnti, autoctone, italiane e nordiche. Sulle prime alleato al radicalismo liberale (Romeo Manzoni, Emilio Bossi), il Partito cresce sull’onda delle battaglie politiche e sindacali dell’epoca. Nel 1922 Guglielmo Canevascini fa il suo ingresso in governo, rimanendoci fino al 1959.

Il Movimento per il Socialismo è invece un discendente del Sessantotto, un nipote della Lega marxista rivoluzionaria formatasi nel 1969 nella Svizzera francese (lo stesso anno in cui in Ticino vede la luce il Psa in rottura con il Pst). È quindi un frutto della “nuova sinistra” anti-autoritaria e anti-stalinista. I suoi riferimenti vanno ricercati nella Quarta Internazionale fondata nel 1938 dal principale avversario di Stalin, ossia Lev Trotzky, il teorico della “rivoluzione permanente”: «La conquista del potere da parte del proletariato non pone termine alla rivoluzione, al contrario, non fa che inaugurarla. L’edificazione socialista è concepibile solo sulla base della lotta di classe su scala nazionale e internazionale». L’internazionalismo occupa una casella centrale nella piattaforma ideologica dell’MpS; costante è infatti l’attenzione rivolta alle mobilitazioni dal basso e alle azioni di rivolta contro i poteri forti, gli gnomi della finanza, le multinazionali, i club esclusivi. Risuonano qui gli echi della lezione luxemburghiana, ovvero che la coscienza di classe germina sul terreno della lotta e non nelle pratiche negoziali tra padronato e commissioni operaie. La stella polare rimane comunque Marx, il cui insegnamento è ritenuto imprescindibile per una corretta lettura del sociale. Perciò i militanti sono caldamente invitati a frequentare il circolo di studio e riflessione sul marxismo, articolato in politica, storia e attualità (un programma simile è proposto anche dal Forum alternativo). Fortemente raccomandata è pure la lettura del mensile ‘Le Monde diplomatique’ e di ‘Alternatives économiques’.

La politica

In campo politico, il Movimento si prefigge di combattere da un lato il liberalismo, con la sua variante economica (il neoliberismo), e dall’altro la socialdemocrazia, considerata subalterna ai partiti borghesi. La categoria fondamentale è quella di “antagonismo”, ossia della non-collaborazione con il Potere. A giudizio degli antagonisti la “terza via” si è rivelata disastrosa. Propugnata da Blair, Schröder, Hollande e Prodi avrebbe condotto le principali formazioni socialiste e post-comuniste europee in un vicolo cieco, rendendole innocue e prone al capitale.

A quest’accusa, il Ps ticinese risponde con la sua lunga presenza nelle istituzioni: principalmente a Bellinzona (nell’esecutivo cantonale senza interruzioni dal 1922), ma anche nei comuni e infine a Berna, nelle due camere federali e nelle commissioni. Un’esperienza che invece il Movimento non può vantare, in nessun municipio, né urbano né rurale. La divaricazione tra le due traiettorie è dunque evidente: cultura di governo/cultura di opposizione, Palazzo/Piazza, collegialità/movimentismo. Fondamentalmente, insomma, l’Mps rimane una forza guidata da una mentalità extraparlamentare, mentre il Ps resta ancorato alla sua secolare tradizione governativa.

L’organizzazione

Diverso è pure il modo di concepire l’organizzazione e i processi decisionali interni. Sebbene il Movimento sia guidato non da un presidente ma da un “semplice” coordinatore, l’“imprinting” resta leninista, ossia determinato dall’alto da una cerchia ristretta di attivisti, una direzione quasi familiare. Senza una disciplina ferrea è impossibile conseguire gli obiettivi fissati. Il gruppo dirigente dev’essere coeso e convinto della causa. A decisione presa, ogni obiezione cade.

Molto più lasca e policentrica è invece l’organizzazione del Ps, tant’è vero che deve fare i conti con dissensi intestini frequenti, provenienti sia dall’ala destra (i liberalsocialisti di Piattaforma riformista), sia dai frondisti del Forum alternativo. Anche a livello nazionale, il Pss deve mediare tra tendenze radicali, incarnate soprattutto da Gioventù socialista, e correnti moderate e pragmatiche: una creatura tricefala, la cui origine va ricercata nel dibattito sul revisionismo che al principio del Novecento scosse la socialdemocrazia tedesca spaccandola in tre tronconi.

Spina nel fianco

Se quanto detto sin qui ha qualche fondamento, è davvero poco probabile che l’Mps darà una mano al Ps per la riconferma del seggio in governo. Rimarrà una spina nel fianco, una faina lesta a infilarsi nelle contraddizioni che dovessero esplodere in casa socialista. La tattica, anch’essa d’impronta leninista, è quella della filibusta. Il Ps, per riuscire nell’impresa, dovrà in primis far capo ai Verdi, al gruppo donne e ai comunisti, e in seconda battuta al soccorso esterno. Ci attendono mesi caldi. D’altronde la politica locale non è mai stata avara di sorprese.

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