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Il pass e quella 'infantile concezione della libertà'

Francia, Italia, Germania: la quarta ondata non lascia alcuna scelta, la corsa contro il tempo dei governi incalzati dalla variante Delta è già scattata

Un'iconografia nefasta (Keystone)

In Italia si comincia proprio oggi. In Francia, dopo il disco verde dato ieri dal Consiglio costituzionale, l’obbligo scatterà lunedì prossimo. In Germania il decreto è previsto per settembre. Da noi in Svizzera si tergiversa ancora: a Locarno Alain Berset esterna una calcolata accortezza e parla di “un’opportunità offerta alla popolazione”, posizione ancor più prudente di quella dell’ex presidente della Commissione nazionale di Etica Christoph Rehmann-Sutter per il quale il certificato Covid costituisce un’opzione “assolutamente ragionevole”. È comunque già in vigore per alcune manifestazioni oltre che per i viaggi all’estero. Il “green pass” in versione italiana o “pass sanitaire” in quella francese è ormai una realtà dalla quale nessun Paese sarà prima o poi in grado di prescindere.

La quarta ondata non lascia alcuna scelta, la corsa contro il tempo dei governi incalzati dalla variante Delta è già scattata. La piazza tuttavia non demorde: in Francia in particolare il veleno dei no vax si riversa nelle strade, dove folle sempre più numerose in cui convergono frange dai colori politici che ricordano quelli dei “gilets jaunes” (dalla destra estrema dei “Patriotes” di Florian Philippot alla sinistra radicale dell’arruffapopolo Jean-Luc Mélenchon, tutto fa brodo in chiave anti-Macron) e sindacati moribondi in chiara difficoltà di prevendita inscenano un’escalation che si traduce in inquietanti derive verbali. La banalizzazione della violenza nelle parole (“collabos, assassins”) ha ormai tracimato ogni argine del buon senso. Il “famigerato” documento sanitario assume i contorni dell’imposizione nazista: il pass diventa il paSS, baldanzosi ci si appiccica addosso sulla t-shirt la stella gialla con la dicitura “non vaccinato”.

In aggiunta alle teste calde, anche qualche testa pensante, a riprova di quanto il narcisismo da social prevalga alla fine sempre sul senso del ridicolo, si butta a capofitto nella mischia. Diego Fusaro, filosofo marxista di formazione, passato al sovranismo più urlato e sconclusionato – ma proprio per questo popolare su Facebook – taglia corto: la tessera “è di natura politica e non medica, mira a discriminare chi non giura fedeltà all’infame regime tecnosanitario”. Ci mettono del loro, seppur in forma meno rustica, Massimo Cacciari e Giorgio Agamben che in una controversa presa di posizione denunciano come “gravissimo” il fatto di discriminare, considerandola di serie B, un’intera categoria di cittadini (non vaccinati). Luc Ferry, ex ministro francese, filosofo di pensosa discrezione, e che contrariamente ai sopraccitati non disdegna il buon senso, conclude la sua riflessione stigmatizzando quella “infantile concezione della libertà” che allontana dalla scienza e riporta all’oscurantismo e alla negazione del valore della vita, la propria e quella degli altri che merita protezione.

Il pass assomiglia di fatto a un obbligo di vaccinarsi, è indubbio. E pone certamente questioni etiche importanti. Ma la storia della medicina e della scienza ci insegna che i successi delle campagne vaccinali (poliomielite o vaiolo) sono immensamente superiori agli errori e agli effetti indesiderati. La controversa tesserina ci accompagnerà vieppiù nella nostra vita, nei ristoranti, bar, teatri, manifestazioni sportive, scuole o trasporti. Non una limitazione alle libertà dunque. Ma la condizione necessaria per continuare a beneficiarne.

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