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Toni Esposito: ‘Ricordo una città a pezzi’

Frammenti e immagini della vergognosa sconfitta della Svizzera contro l’Azerbaigian a Baku il 31 agosto 1996. Toni Esposito: ‘Iniziammo male, finimmo peggio’

La selezione di quel 31 agosto 1996 (Keystone)

Frammenti e immagini della vergognosa sconfitta della Svizzera contro l’Azerbaigian a Baku il 31 agosto 1996. Toni Esposito: ‘Iniziammo male, finimmo peggio’

9 giugno 2021
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Baku, sede di due delle tre partite della Svizzera agli Europei, evoca in appassionati e addetti ai lavori un ricordo triste, legato a una delle pagine più nere della storia recente della Nazionale rossocrociata: la sconfitta contro l’Azerbaigian (0-1, 31 agosto 1996) nella prima partita della gestione tecnica affidata a Rolf Fringer, l’incontro di debutto nelle qualificazioni ai Mondiali di Francia del 1998. Fu il primo in casa per la Nazionale azera che era stata costretta a disputare a Trebisonda (Turchia) le partite di qualificazione agli Europei del 1996, cominciate poco più di tre anni dopo la dichiarazione d'indipendenza del 1991.

Chi segue la “Nati” da qualche stagione se la ricorda, quella trasferta. Chi c’era, rammenta bene i musi lunghi e il comportamento non esattamente professionale di alcuni dei protagonisti di allora che lasciarono lo stadio dalla porta di servizio per evitare di passare sotto la “gogna” mediatica dei giornalisti in attesa di una dichiarazione.

Il rigore fallito da Yakin

La storia narra che Murat Yakin fallì un calcio di rigore al 60’, sull’1-0 per gli azeri, i quali avevano trovato il vantaggio al 26’. Sul dischetto avrebbe voluto presentarsi Kubilay Türkyilmaz, il quale però fu soccorso a bordo campo, dolorante alla spalla per le conseguenze del fallo da rigore che fu lui a subire. Yakin subentrò al secondo rigorista designato, Ciriaco Sforza, defilatosi... per stanchezza. Su laRegione del 2 settembre 1996 Kubi dichiarò che «mi sarei incaricato della battuta, ma essendo rimasto a terra, l'arbitro mi ha fatto accomodare a bordo campo e, quando stavo per rientrare, “Muri” era già pronto a calciare. Ma non bisogna caricarlo di eccessive responsabilità, anch’io avrei potuto fallire. Dopo questo errore la squadra si è colpevolmente allungata e per i centrocampisti azeri è diventato un giochetto impossessarsi dei palloni scaraventati lontano dalla loro difesa. Hanno meritato il successo per aver messo in campo una grinta superiore alla nostra. Eravamo convinti che tutto sarebbe stato facile, invece una volta trovatici in svantaggio non siamo più stati capaci di reagire».

Quel rigore fallito fu l’episodio chiave, molto discusso. Un segno di quanto fosse nata storta quella trasferta, già di per sé molto particolare, in un momento storico oltremodo delicato, segnato dalla guerra del Nagorno Karabakh (1988-1994), regione azera a maggioranza armena (un conflitto che fece 15’000 vittime) che in quei mesi faceva registrare un precario cessate al fuoco. «Un paese - ricorda Toni Esposito, ex nazionale rossocrociato che fu protagonista di quella spedizione, unitamente allo stesso Kubi - allo sbando, devastato dalla guerra, di cui serbo un ricordo molto nitido, proprio della distruzione che ci circondava. Noi alloggiavamo in un bell’albergo, ma era l’unico edificio in buone condizioni. Per il resto, solo macerie». 

Trasferte con la squadra

A quei tempi - sono passati solo 25 anni ma calcisticamente è un’era intera - erano usuali le trasferte comuni. Squadra, staff accompagnatori, giornalisti e tifosi tutti sullo stesso volo. Una buona soluzione, se si pensa che per raggiungere l’Azerbaigian vi erano non poche difficoltà legate alle linee aeree e ai collegamenti. Un charter per tutti, direzione Baku, e soggiorno per tutti nello stessa struttura alberghiera. «In hotel si raccomandarono che non uscissimo, per cui l’unica tratta che ci era permesso fare era quello tra l'albergo e il campo. Era una situazione abbastanza complicata».

Siccome le infrastrutture in generale, bagni, locali e spogliatoi in particolare non furono ritenuti degni della squadra, i giocatori si cambiavano in albergo, sia per gli allenamenti sia per la partita, per poi tornare in camera a fare la doccia. Accompagnati da molteplici veicoli della polizia a sirene spiegate, impegnate a tenere sgombre le strade per il passaggio del bus rossocrociato. La selezione dell’Azerbaigian venne a sapere di questo trattamento di favore riservato agli ospiti così tanto “coccolati”,. Ne consegue che è fin troppo facile immaginare con quale entusiasmo e gusto festeggiò quello storico 1-0 una squadra che prima di battere la Svizzera aveva accumulato tredici sconfitte e un pareggio. «Ricordo un aneddoto curioso, a testimonianza di quanto siano cambiate le cose: nell'allenamento di rifinitura, alla vigilia della partita, dividemmo il campo con l’Azerbaigian, noi in una metà campo, loro nell’altra. Non so perché accadde, ma di certo non lo dimenticherò mai. Una cosa impensabile, oggi», aggiunge Esposito.

‘Iniziammo male, finimmo peggio’

Era la prima partita con Rolf Fringer - ricorda Toni -, le aspettative erano completamente diverse. Era una Nazionale forte, quella. C'erano Kubi, Knup, Sforza, Henchoz, lo stesso Yakin. Fu però una trasferta molto strana, io la ricordo così. C’era ben poco di quello che siamo soliti ricondurre al calcio come lo conosciamo, in quell'atmosfera. Era difficile affrontare un incontro, con quei presupposti. Va però detto che eravamo anche convinti di vincere facilmente. Non che oggi sia uno squadrone, ma all’epoca l’Azerbaigian era davvero poca cosa. Dopo la sconfitta, ricordo un silenzio imbarazzante. Quella battuta d’arresto condizionò il nostro cammino. La gestione Fringer non fu molto fortunata. Lavorai con lui anche al Grasshopper: tecnico molto preparato sul piano tattico e tecnico, ma a livello caratteriale… Diciamo che iniziammo bene e finimmo peggio».

Calciatori al check-in, giornalisti e tifosi sull’aereo

Oltre alla vergogna per la pessima figura fatta in campo, la squadra subì una seconda umiliazione, l’indomani. Era infatti previsto che giocatori e staff andassero all’aeroporto con un bus diverso da quello di giornalisti e tifosi, allo scopo di permettere a giocatori e staff di evitare le formalità doganali, scortati dalla polizia, per rendersi direttamente sulla pista di decollo dove l’attendeva il charter per riportarli in Svizzera. Evidentemente, però, qualcosa non funzionò, l'informazione a polizia e autista del bus non passò. Invece della squadra, che si ritrovò davanti all'aeroporto, a beneficiare del trattamento di favore furono giornalisti e tifosi. I giocatori furono costretti a espletare ogni formalità legata all’imbarco, i bagagli, il check-in, la dogana, mentre i giornalisti al seguito si accomodava sull’aereo e venivano accolti con bibite e spuntini, approfittato appieno dello scambio di ruoli.

La soddisfazione dei redattori e dei tifosi e lo stupore dei giocatori al momento di salire a bordo furono enormi. Non deve quindi sorprendere che i rossocrociati, come accaduto il giorno prima, avessero decisamente poca voglia di parlare con la stampa di quella clamorosa sconfitta.