Bellinzonese

Quartiere Officine Bellinzona, 'è mancato il coinvolgimento'

Dopo Torricelli e David, un altro parere critico sul progetto scelto. L'ex vicesindaco Felice Zanetti: 'Altre città svizzere hanno agito diversamente'

Felice Zanetti, già vicesindaco Plr di Bellinzona (Ti-Press)
7 novembre 2020
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«Ho visto i contenuti del previsto nuovo Quartiere Officine esposto in piazza del Sole e mi chiedo, considerata anche la procedura scelta dal Municipio, se Bellinzona sia sulla strada giusta». Dopo il geografo Gian Paolo Torricelli, coordinatore all'Accademia di architettura dell'Osservatorio per lo sviluppo territoriale, e dopo il consigliere comunale dei Verdi Ronnie David (cfr la 'Regione' del 27 e del 31 ottobre scorsi), una terza voce critica si leva nei confronti della 'Porta del Ticino', il progetto scelto all'unanimità dalla commissione d'esperti al termine del Mandato di studio in parallelo che aveva incaricato cinque team interdisciplinari di proporre idee architettoniche e paesaggistiche nell'ottica di riorientare lo storico comparto industriale cittadino una volta che le Officine Ffs saranno trasferite nel nuovo stabilimento di Castione. I contenuti indicati nel mandato, ricordiamo, erano identici e vedevano Ffs da una parte e Cantone e Città dall'altro spartirsi i 120'000 metri quadrati fra scuole, negozi, appartamenti, uffici, spazi verdi, riconversione della 'Cattedrale' in un luogo di socializzazione, nonché attività di ricerca nel settore tecnologico avanzato. Il tutto, nell'arco di 20-30 anni, con l'obiettivo di trovare la giusta collocazione della capitale ticinese sull'asse di AlpTransit fra Zurigo e Milano. L'ha spuntata il team "sa_partners – Tamassociati – Franco Giorgetti architetto paesaggista": attivo fra Zurigo, Milano e Venezia, propone l'insediamento di una trentina di palazzine di 5-7 piani che farebbero da corona a un parco centrale aperto ai bellinzonesi, con la 'Cattedrale' a fare da perno orientale. «Alzandomi ogni mattina, da sessant’anni, la prima cosa che vedo sono gli stabilimenti delle officine. Una presenza magari rumorosa ma che è indissolubilmente legata al passato e al presente economico e sociale di Bellinzona», attacca l'ex vicesindaco bellinzonese Felice Zanetti, oggi presidente del Patriziato di Daro a suo tempo proprietario del vasto appezzamento successivamente divenuto sede delle Officine. «A metà del diciannovesimo secolo – ricorda Zanetti – la nuova Legge federale sulle ferrovie concepita per promuovere lo sviluppo della rete nazionale aveva dato alla Gotthardbahn gli strumenti per espropriare i piedi della collina di Daro, che sarebbe pure servita a realizzare lo stabilimento di manutenzione. Che da allora si trova là».

Quali sentimenti prova di fronte a un mutamento di questo genere, peraltro 'avallato' dai ticinesi quando nel maggio 2019 l'iniziativa popolare 'Giù le mani' è stata bocciata alle urne?

«Approvato il principio ma non necessariamente la forma con la quale ora vengono proposti i contenuti. Non è forse il caso di essere nostalgici, ma immaginare tutto questo trasformato in una spianata di nuove costruzioni, molte delle quali ad uso meramente residenziale, inquieta. La bella intervista che il geografo Gian Paolo Torricelli ha concesso alla 'Regione' solleva tutta una serie d’interrogativi che meritano risposta. Perciò a mia volta confido che si possa aprire l’evocato dibattito pubblico».

Entrando nello specifico, in una Bellinzona già attualmente caratterizzata da un elevato tasso di sfitto (come evidenziato da Ronnie David) la inquieta 'unicamente' la corona di palazzi destinati ad accogliere fino a 2'500 abitanti che farebbero capo a un certo numero di appartamenti a pigione moderata e a cooperative di abitazione, o c'è dell'altro?

«Riuscire a conciliare le esigenze del pubblico (Cantone e Città) interessato a creare spazi con valenze formative, culturali o sociali il tutto condito in salsa “green” perché rende il progetto più digeribile, con quelle del privato, ovvero le ferrovie fautrici di un progetto che non vorrei chiamare speculativo ma oggettivamente orientato a massimizzare i propri investimenti, rende l’operazione invero ardua. Il risultato è un contenitore che porta poche tracce della memoria storica del sito, se non la 'Cattedrale', annegata tra una trentina di nuovi blocchi edilizi».

Condivide dunque la critica fatta da Torricelli, secondo cui il problema starebbe nel manico, ossia nel mandato affidato ai team di progettisti?

«Mi sembra che qui si sia voluto dar loro paletti stretti che hanno portato a visioni stereotipate. Altre realtà locali hanno avuto approcci procedurali completamente differenti. Cito gli esempi di Losanna dove il recupero di due siti industriali in disuso hanno portato a un arricchimento del tessuto urbano. I vecchi depositi ferroviari della città, rinominati Plateforme 10, sono diventati il polo museale della città. I magazzini del quartiere del Flon, pur mantenendo la loro conformazione originale, grazie a un sapiente restauro hanno dato origine a un quartiere pieno di vita. Oppure Zugo, che con il suo quartiere Metalli dal nome evocativo, è un altro esempio di recupero di stabili industriali e di pianificazione condivisa».

Gli iniziativisti si sono battuti per il mantenimento delle Officine in Città, ma i ticinesi hanno fatto un'altra scelta quando la Dichiarazione d'intenti sottoscritta da Ferrovie, Consiglio di Stato e Municipio già indicava chiaramente i rispettivi appetiti per l'utilizzo futuro del comparto situato sotto la Stazione cittadina. È forse mancata una fase intermedia?

«Ritengo che a Bellinzona il masterplan del comparto sia stato calato dall’alto limitando così l’interazione con la popolazione a disquisire sul “fait accompli”. Per contro, l’approccio voluto dalla città della Svizzera centrale è stato diametralmente opposto. Nella pianificazione del comparto e nel lavoro dei team interdisciplinari incaricati sono preventivamente confluite anche le aspettative della popolazione che durante un periodo di tre settimane ha avuto l’occasione di esprimersi su quanto si attendeva dal progetto».

I rispettivi interessi dei tre attori e finanziatori delle nuove Officine (Città e Cantone con 120 milioni, Confederazione con 60 e Ffs con le loro riserve e con gli introiti degli affitti degli appartamenti) sembrano dunque aver prevalso. Crede che si possa ancora fare qualcosa per rivedere determinati contenuti?

«Probabilmente la possibilità di vedere il quartiere officine terminato sarà riservata a chi attualmente è giovane. A me basterebbe che si potesse dire “lì c’erano le officine, lì c’era lavoro, lì c’erano uomini”».

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