Svizzera

Il ritorno di Ermotti ‘ha anche un valore simbolico’

Per l’esperto Usi Edoardo Beretta, l’Ubs vuole segnalare ai mercati solidità e ‘ritorno alle radici’. Puntando anche sulla svizzeritudine

In sintesi:
  • La scelta piace a Berna dopo le accuse ai manager stranieri 
  • La banca dovrà evitare il ‘globalismo per il globalismo’
  • Il docente auspica: ‘Investire sul servizio alla clientela’
(Keystone)
29 marzo 2023
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Ora che Sergio Ermotti è tornato a dirigere l’Ubs, che cosa cambierà? Molti si aspettano una maggiore attenzione alla gestione patrimoniale, con tanti saluti alle avventure un po’ corsare nell’investment banking che hanno contribuito alla disfatta del Credit Suisse. Allo stesso tempo, il ‘marchio’ Ermotti è sinonimo di rinnovata ‘svizzeritudine’ ai vertici d’un nuovo colosso che ormai vale oltre il doppio del prodotto interno lordo svizzero. Resta però da capire se si sia trattato della scelta giusta al momento giusto. Ne parliamo con Edoardo Beretta, professore titolare di Macroeconomia all’Università della Svizzera italiana ed esperto del sistema finanziario svizzero e internazionale.

Dopo i due anni dell’olandese Ralph Hamers – chiamato a digitalizzare ulteriormente la banca e ridurne i costi operativi – ora ritorna Ermotti, l’uomo che riportò stabilità dopo che un singolo trader era riuscito a creare un buco di due miliardi di franchi. Il Ceo luganese proseguì anche il ridimensionamento dell’investment banking, collassato già nall’era di Marcel Ospel e dei subprime. Ora cosa possiamo aspettarci?

Credo che questa mossa segua due direttrici. La prima è di natura manageriale: attraverso la nomina di un manager esperto e già vicino alla banca si vogliono garantire stabilità finanziaria e “resilienza”, come si legge nel comunicato stampa della banca, variabili molto importanti per il riposizionamento di Ubs sotto la guida del ‘primo’ Ermotti. La seconda direttrice è di natura per così dire simbolica.

In che senso?

L’acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs rappresenta per certi aspetti anche un corollario della politica monetaria svizzera, con la Banca nazionale e la Finma (l’autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari, ndr) che hanno concertato l’operazione insieme ai due istituti privati. Ora: quando si parla di politica monetaria, le decisioni spesso sottendono anche una valenza simbolica, in quanto servono a riecheggiare affidabilità e sicurezza per stabilizzare la situazione sui mercati. In questo senso credo si possa leggere, alla vigilia di una fase molto sfidante, anche la scelta di un nome noto e molto stimato in Svizzera e all’estero.

Per alcuni osservatori la designazione di uno svizzero sarebbe anche un segnale dopo le critiche rivolte a manager stranieri ritenuti da molti dei mercenari, con poca conoscenza e rispetto della realtà nazionale. Sciovinismo a parte, è possibile che queste stesse considerazioni abbiano spinto il Consiglio federale e la Bns a suggerire la nomina di Ermotti, se non addirittura a imporla?

Non conosco i retroscena, ma posso immaginare che queste istituzioni abbiano espresso una comprensibile preferenza – a fronte di certe critiche mediatiche, politiche, pubbliche – per questo ritorno alle radici, a una gestione che conosca il territorio e i suoi portatori d’interesse, contraddistinta da una sensibilità meno agevolmente rintracciabile in chi proviene da realtà nazionali e lavorative di diversa mentalità.

Sarà dunque una banca meno globale?

Dipende. In generale, credo che il settore bancario svizzero debba rimanere proiettato verso il mondo, ma senza dimenticare le sue origini. Altrimenti, come abbiamo già visto, il ‘globalismo per il globalismo’ può portare a instabilità e scandali. Penso insomma che la banca resterà globale, ma senza inseguire un posizionamento internazionale fine a sé stesso. In questo senso, una maggiore focalizzazione su Svizzera ed Europa non mi pare un male.

Visto il peso abnorme della ‘nuova’ Ubs, possiamo dire che l’ottavo Consigliere federale – magari il primo per importanza reale – è un ticinese?

Sicuramente anche in questo senso la valenza simbolica non va sottovalutata: si dà spazio al territorio in tutte le sue sfaccettature, incluse quelle linguisticamente minoritarie, in un frangente nel quale occorre infondere quella tranquillità che è la parola d’ordine dei mercati finanziari nell’evitare spirali speculative.

Se però ‘tranquillità’ è la parola d’ordine dei mercati, quella della politica dovrebbe essere ‘indipendenza’. Non si rischia di avere un Ceo che – un po’ come la sua banca – è troppo ingombrante per l’autonomia di chi dovrebbe regolarla e controllarla?

Penso e spero di no. Credo piuttosto che Ermotti sarà attento alle esigenze della Svizzera e del suo interesse nazionale in un momento difficile a livello reputazionale.

Ermotti ha anche una fama di tagliatore di teste: una delle sue prime mosse, nel 2011, fu il taglio di diecimila posti di lavoro per salvare la banca da un momento di profonda crisi. Ora sappiamo che la fusione col Credit Suisse renderà necessari ulteriori sacrifici. Dove taglierà il nuovo Ceo?

Difficile prevederlo. Auspico, in ogni caso, che non si lesini sul servizio alla clientela, garantendo invece tanto l’accessibilità di sportelli e filiali quanto quella digitale: è questo il punto di forza del sistema bancario rispetto alle criptovalute e alla finanza ‘alternativa’. Nell’e-banking 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 molte banche stanno ancora investendo troppo poco, mentre vi vedo un settore capace anche di garantire nuovi posti di lavoro.

Non trova che troppo spesso i semplici impiegati siano carne da cannone?

In generale – e parlo dell’intero settore finanziario, non di Ubs nello specifico – penso occorra superare la tendenza ad assumere eccessivamente quando le cose vanno bene per poi licenziare altrettanto massicciamente quando vanno male. Mi rendo conto che in una realtà sempre più dinamica e precaria la perdita occupazionale sia divenuta sempre più frequente, sul “modello americano”, ma il licenziamento dovrebbe davvero essere l’ultima ratio. Il personale, se motivato, ben integrato e posizionato nelle caselle giuste, è la risorsa fondamentale per creare valore aggiunto. Questo però richiede di ragionare con più attenzione sul medio e lungo termine, non solo sul breve.

Tornando alla digitalizzazione: era uno dei cavalli di battaglia del predecessore Hamers, arrivato da Ing più per la sua esperienza nell’ottimizzare le strutture digitali – tagliando i costi – che per quella nella gestione patrimoniale (tentò perfino di acquisire un colosso degli investimenti automatizzati come Wealthfront, anche se l’operazione è fallita, pare anche per l’avversione di manager e investitori). Ci sarà continuità?

In questo momento la dimensione digitale – intesa come potenziamento del servizio – dovrebbe essere innata in qualsiasi gestione manageriale, un po’ come dovrebbe esserlo la protezione ambientale. Spero che in questo senso Ermotti continui nella giusta direzione, incorporandola in quello che immagino essere il suo progetto di ricostituita solidità finanziaria e rinnovato radicamento territoriale.

Una dozzina d’anni fa, lo stesso Ermotti consegnò al Sonntagsblick una considerazione alquanto onesta: “La Svizzera è diventata ricca attraverso i soldi in nero”. Oggi c’è ancora margine per corteggiare clienti poco raccomandabili, come quelli che stando agli ‘Suisse Secrets’ piacevano tanto al Credit Suisse?

Credo che questi episodi costituiscano ormai una pagina passata della storia bancaria elvetica, pagina che Ubs ha peraltro già dimostrato di volersi lasciare con forza alle spalle. La Svizzera d’altronde è lungi dall’essere o essere stata l’unico Paese con un sistema altamente ‘riservato’, altri sono ipercompetitivi in questo senso, ma penso proprio che non sarà più sul segreto bancario che farà leva il nostro Paese, bensì su stabilità finanziaria e servizi alla clientela.

Il bisogno di richiamare un ‘grande vecchio’ – qualcuno che in una macchina così grande sappia dove infilare il cacciavite – non evidenzia anche una mancanza di giovani leve a livello di management nel settore bancario?

Probabilmente sì, e non solo in Svizzera. Personalmente non mi piace che quando c’è un problema si debbano sempre richiamare gli stessi nomi e non si possa fare spazio alle nuove leve. Però in questa situazione capisco la logica, occorreva enfatizzare un discorso di continuità e solidità. Mi pare insomma che sia stata fatta una mossa adeguata.

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