Luganese

‘Hanno tutti agito per scopi egoistici, per arricchirsi’

Cinque condanne, ma non uguali come chiesto dall’accusa, nel processo per reati patrimoniali alle Assise correzionali di Lugano. Nessuna prescrizione

Francesca Verda Chiocchetti, presidente della Corte
(Ti-Press)
22 dicembre 2022
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Atto d’accusa confermato, tutti condannati, ma con pene differenziate. Si è concluso stamattina alle Assise correzionali di Lugano il processo per reati patrimoniali che si è tenuto settimana scorsa e durante il quale sono stati giudicati fatti avvenuti fra il 2006 e il 2009. Pene pecuniarie di diverso grado per quattro dei cinque imputati, diciotto mesi invece al 53enne considerato l’imputato principale, oltre che l’unico processato in contumacia: si tratta del direttore di una società di gestione patrimoniale luganese i cui clienti sono stati danneggiati complessivamente per oltre 13 milioni di franchi, mentre gli altri quattro lavoravano per la società con ruoli di diverso tipo. Tutte le pene sono sospese condizionalmente per due anni.

Nessuna prescrizione

«Non vi è alcuna prescrizione dei fatti, nemmeno parziale», ha esordito la presidente della Corte Francesca Verda Chiocchetti, dando così sin da subito una risposta a una delle principali contestazioni delle difese che in più casi hanno chiesto assoluzioni complete o parziali per i propri assistiti. «La giurisprudenza del Tribunale federale (Tf) – ha spiegato la giudice –, proprio nei casi di amministrazione infedele, ha individuato spesso un’unità di atti anche se i delitti commessi non sono continuati».

Clienti non informati delle perdite, dunque amministrazione infedele

E poi, il punto cruciale. La Corte ha integralmente accolto, seppur a titolo differente, le accuse del reato principale di amministrazione infedele nei confronti di tutti gli imputati. «Il reato è dato dal non aver informato i clienti delle perdite. C’era l’obbligo di rendiconto, che serve ai mandanti affinché possano esercitare il proprio ruolo, far valere i propri diritti e richiedere eventualmente una restituzione degli averi. In questo senso, l’obbligo ha un effetto preventivo e un ruolo centrale di fiducia all’interno del mandato. E la violazione di questo obbligo offre al cliente una visione parziale. In questo caso, non solo si è omesso di informare delle perdite reali, ma si sono anche prodotti documenti falsi. In altre parole, ci si è sostituiti al potere decisionale dei clienti, come se i beni fossero i propri. E ciò basta per configurare il reato».

‘Poco importa se hanno eseguito ordini, erano complici’

La colpevolezza degli imputati è data anche dal profilo soggettivo, secondo Verda Chiocchetti. «Tutti sapevano che c’erano delle perdite e che i clienti non erano informati di queste. Non avendo permesso ai clienti di determinarsi se continuare o meno proseguendo l’attività gestionale e incassando quindi le retrocessioni. Per questo c’è l’aggravante dell’attività illecita commessa per procacciarsi guadagno». Considerazioni che per la giudice valgono anche per gli imputati considerati ‘minori’: «Sono stati attivi, hanno permesso che il reato si compiesse, hanno chiaramente rivestito il ruolo di complici. Il Tf ha già più volte evidenziato che poco importa se si è solo eseguito ordini ricevuti da altri».

L’accusa aveva chiesto per tutti la stessa pena

Le pene come detto sono individualizzate, a differenza della richiesta comune di due anni a ciascuno formulata dalla procuratrice pubblica Anna Fumagalli. Per tutti pesa l’assiduità nell’agire e la grande somma di denaro al centro della vicenda, sebbene a due imputati (un 44enne e un 54enne italiani che si occupavano di trading) siano state riconosciute le attenuanti della minor durata temporale dei reati commessi e il fatto che alla fine i loro rapporti di lavoro con la società si siano incrinati e infine rotti. A loro sono state inflitte pene pecuniarie da 20 aliquote giornaliere a testa. Più gravi le colpe del gestore patrimoniale e dell’unica donna, che si occupava di amministrazione commerciale e gestione contabile nella società. Pur avendo riconosciuto loro il merito di essersi rivolti alla Procura e di aver collaborato, la giudice li ha condannati rispettivamente a 180 e 120 aliquote giornaliere.

‘Hanno tutti agito per scopi egoistici, seppur diversi’

La colpa più grave, naturalmente, è del 53enne: «Ha agito senza scrupolo per arricchirsi, dimostrando cinismo e noncuranza, una noncuranza sfociata nel suo disinteresse al dibattimento (l’uomo si trova negli Stati Uniti e lì è rimasto, ndr)». Per lui una pena di diciotto mesi e la condanna a risarcire lo Stato con 2,8 milioni di franchi. «Tutti hanno agito per scopi egoistici – ha comunque sottolineato la giudice –, quattro di loro per mantenere il lavoro e uno per intascarsi le retrocessioni». Come attenuante generica è stato riconosciuto il lungo tempo trascorso e «una crassa violazione del principio di celerità, da non imputare alla pp (sono cinque i magistrati che si sono passati di mano il decennale dossier, ndr)». La Corte ha infine condannato, anche qui a vario titolo, gli imputati a risarcire di quasi 12 milioni di franchi una decina di ex clienti costituitisi in accusatori privati.

Aria di Appello

Visto l’esito del processo, sebbene non sia stata dichiarata in aula da nessuno degli avvocati difensori (Yasar Ravi, Michele Rusca, Nadir Guglielmoni, Diego Della Casa e Giovanni Molo), appare molto probabile l’ipotesi dell’Appello.

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