L’accusa non ha fatto distinzione di pena tra gli imputati: ‘Hanno tutti beneficiato di uno sconto massiccio dato dal lungo tempo trascorso dai fatti’
È proseguito oggi il processo riguardante la società di gestione patrimoniale, che tra il 2006 il 2009 (gli anni precedenti sono oramai caduti in prescrizione) aveva utilizzato i capitali affidatagli per arricchire indebitamente i suoi proprietari, investendo al solo scopo di ottenere retrocessioni e presentando ai clienti false rendicontazioni. Alla sbarra quattro imputati e un grande assente, ovvero la mente dietro tutto questo intrigo fatto di manipolazioni, bugie e ricatti. Quest’uomo, che chiameremo Giuseppe, stando alla ricostruzione dei fatti emersa in aula, non solo avrebbe ingannato i propri clienti, ma i suoi stessi collaboratori, mentendo loro sulle vere condizioni in cui versava l’azienda, e ricattandoli sfruttando le loro storie familiari e debitorie. Ma non si può dire che i quattro imputati, due operatori di sala trading, un’impiegata amministrativa e un gestore patrimoniale, fossero completamente all’oscuro delle azioni illecite della società, seppur con diversi gradi di responsabilità. Quattro persone che ora rischiano fino a due anni di detenzione ciascuna, per amministrazione infedele qualificata, ripetuta falsità di documenti e amministrazione infedele aggravata. Tutto questo senza aver intascato nulla di più che il loro regolare stipendio, dal momento che il reale benefattore di questi reati è stato unicamente Giuseppe.
Giuseppe, e su questo tutti gli imputati concordano, è un mago della manipolazione. Il grande assente pare essere una figura autoritaria e autorevole, in grado di farsi percepire come estremamente competente da clienti, collaboratori e istituti di credito. Pare inoltre che buona parte dei clienti siano infatti stati procacciati e gestiti interamente da lui, senza che la loro identità fosse nota a nessuno. Una segretezza che andava anche a vantaggio dei clienti stessi, dal momento che si trattava per lo più di cittadini italiani con conti bancari offshore. E fin da quando Giuseppe ha acquistato la società dal precedente proprietario, gli imputati hanno dichiarato che non sia mai stata effettuata nessuna gestione patrimoniale, ma i capitali siano stati usati solo per giocare in borsa.
Le cose hanno funzionato fintanto che i mercati dei primi anni duemila permettevano di fare utili per i clienti e garantire a Giuseppe e la sua società lauti introiti grazie alle retrocessioni. Tutto è filato liscio fino a quando i conti non hanno cominciato a registrare perdite. A quel punto, riporta l’ex impiegata amministrativa, «lavorare lì è diventato un incubo, era come stare su una bomba a orologeria». Fu la stessa impiegata che, nel 2007, notò nei libri contabili un buco di oltre 400’000 franchi, andando subito a segnalarlo all’autorevole e competente Giuseppe, che le ha garantito che i conti sarebbero stati risanati. Il come lo sapeva solo lui, ma era solito a menzionare una serie d’investitori che sarebbero presto entrati in gioco, tra cui anche la sorella di Giuseppe stessa. Sorella che, fra l’altro, non è mai esistita, così come gli investitori, e il buco, anziché venir risanato, non ha fatto altro che allargarsi.
Anni e anni di bugie, che hanno ingannato tutti. Ma c’erano anche altri strumenti nel suo arsenale, come quello di aver concesso al padre dell’impiegata, un imprenditore italiano, un ingente prestito, che poi avrebbe utilizzato per ricattarla. Lo stesso prestito era pure stato concesso illecitamente, prendendo i soldi dal patrimonio di un inconsapevole cliente. Vi era poi la più classica minaccia di licenziamento, appesantita dal fatto che tutti i collaboratori avevano famiglie a carico. Alla fine dei giochi, Giuseppe se l’è svignata negli Stati Uniti, lasciando tutti in balia dei clienti inferociti che avevano scoperto i loro conti completamente azzerati. La beffa? La sua unica dichiarazione rilasciata, consiste in un memoriale scritto «comodamente dal divano di casa sua» in cui affibbia tutta la colpa dell’accaduto ai suoi collaboratori, rifiutando qualsiasi responsabilità.
La pubblica accusa, rappresentata dalla procuratrice Anna Fumagalli, non è andata per il sottile. Ha infatti richiesto una condanna a 24 mesi di carcerazione per tutti, indipendentemente dal grado di coinvolgimento, in quanto «il lungo lasso di tempo trascorso ha permesso loro di beneficiare di un grande sconto della pena massima». Una tesi contestata da Yasar Ravi, l’avvocato del gestiore patrimoniale, che ha considerato ingiusto il fatto che agli imputati fosse inflitta la stessa pena di Giuseppe, che è palesemente il maggiore responsabile della vicenda. Al momento la difesa ha anche criticato, oltre alla violazione del principio di celerità costituito da una mancata prosecuzione dell’indagine tra il 2010 e il 2017, l’assenza di considerazione, da parte dell’accusa, del ruolo avuto dal crollo borsistico avvenuto proprio in quegli anni, e che secondo gli imputati avrebbe influito parecchio sulla perdita totale registrata dai clienti, che nell’atto d’accusa supera i tredici milioni di franchi.