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Usa, una destra sempre più sinistra

Haley lascia, Biden arranca, Trump tiene in pugno l'elettorato dell'America rurale e della destra, in una deriva sempre più reazionaria

In sintesi:
  • Si amplia il solco tra due mondi contrapposti e costretti a convivere, l’America delle città e quella delle periferie
  • Di fatto da anni gli studiosi notano uno scivolamento progressivo dei repubblicani verso posizioni estremiste, il risultato lo abbiamo sotto agli occhi
Trump balla
(Keystone)

Tutto secondo copione nel teatro decadente del Paese “faro della democrazia”. Il Vermont come premio di consolazione per Nikki Haley, antagonista di Trump, le Samoa americane (che in pratica nessuno negli Usa sa dove si trovino) a un certo Jason Palmer, sconosciuto avversario in casa Biden. Negli altri Stati dell’Unione, il “super Tuesday” ha consentito a presidente ed ex presidente di far man bassa di delegati in vista delle convention estive.

Haley a corto di fondi ha così gettato la spugna, e all’orizzonte si staglia dunque un remake, una rivincita delle passate elezioni tra un democratico senile in chiare difficoltà cognitive, e un “tycoon” presunto golpista e truffatore, bugiardo seriale sul quale pendono 91 incriminazioni in quattro “criminal cases”.


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Nikki Haley esce di scena

Dietro al proscenio di questo “national embarrassment”, spettacolo che ci appare miserando, si affrontano di fatto due mondi contrapposti. Da una parte un’America urbana, ancorata ai principi dello stato di diritto, mediamente colta e progressista, che ha beneficiato della globalizzazione e che vuole mantenere un ruolo guida nella difesa dei valori dell’Occidente democratico e del suo retaggio. Dall’altra l’America rurale e periurbana, socialmente e culturalmente più debole, reazionaria, facile preda della demagogia e delle dilaganti verità alternative promosse da anni incessantemente da Donald Trump o Steve Bannon, suo ex braccio destro e stratega, compagno di viaggio ideologico in un crescendo di posizioni filorusse, antieuropee e apertamente xenofobe.

È questa l’America in cui attecchisce la propaganda di Fox News e della miriade di radio ultraconservatrici, l’America in cui sono scomparsi ormai i quotidiani, in cui dilaga la “santa ignoranza” (termine coniato dallo studioso Olivier Roy) dell’estremismo ‘evangelicale’ (quello dei “Born again” da non confondere con gli evangelici, termine generico per i riformati), in cui trionfano i complottismi di ogni tipo e dove il bilancio sociale ed economico indubbiamente positivo di Joe Biden viene ridotto a mera “fake news”. Nazional-cristiani, golpisti, suprematisti bianchi costituiscono lo zoccolo duro del Partito Repubblicano, il Mega, l’acronimo del trumpiano “Make America Great Again”. Di fatto da anni gli studiosi notano uno scivolamento progressivo del partito verso posizioni estremiste.


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Joe Biden

Gli autori di “Right Nation” (titolo che gioca sull’ambiguità semantica tra “giusta” e destra”) notano che i padri del Grand Old Party, da Abramo Lincoln (con il suo Civil Rights Act) a Teddy Roosevelt a inizio ’900 (con la sua inveterata difesa del suolo pubblico e parchi nazionali) apparirebbero oggi come pericolosi sovversivi. Potremmo facilmente aggiungere che pure Dwight Eisenhower (che tassò i multimilionari con aliquote stellari) o Richard Nixon (che creò l’Epa, l’ente per la protezione dell’ambiente) sarebbero considerati oggi troppo a sinistra dalla leadership repubblicana.

Con una serie di purghe Trump ha scartato ogni tipo di avversario interno, compreso Mitch McConnell, leader al Senato a cui sono state rimproverate posizioni pro-Ucraina, promuovendo a suoi badanti fedelissimi e parenti stretti, a cominciare dalla nuora, probabile futura vicepresidente del partito. Di fronte al candidato che interpreta al meglio il peggio del Paese, gli argini dei democratici appaiono alquanto fragili, sono nelle mani di un anziano incapace in questo suo mandato di preparare una successione credibile.


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Un manifestante anti-Trump a Washington

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