laR+ IL COMMENTO

Procuratori pubblici, via le nomine dal parlamento

Trattative, inciuci e partiti: quanto succede per la sostituzione delle dimissionarie Alfier e Pedretti, conferma che l'attuale sistema non funziona più

In sintesi:
  • Necessario e urgente un ripensamento della procedura di reclutamento, assegnando la competenza di designazione a un'altra autorità
  • Il Consiglio della magistratura garantirebbe, fra l'altro, rapidi rimpiazzi in caso di dimissioni
  • La politica si faccia un esame di coscienza. Competenze ed esperienze devono venire prima di tutto
Cambio di passo non più rimandabile
(Ti-Press)
6 marzo 2024
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Così non si può più andare avanti. Si susseguono le legislature, cambiano gli orchestrali (leggi i deputati), ma la musica è la stessa. In Ticino, con le nomine dei magistrati, in particolare dei procuratori pubblici, siamo ormai ben oltre il manuale Cencelli. Siamo al libero mercato delle ‘cadreghe’ dove i partiti si spartiscono, alcuni rivendicano ma invano, le poltrone giudiziarie a suon di trattative, promesse, inciuci. Competenze ed esperienza di chi aspira a una carica a Palazzo di giustizia? Possono anche passare in secondo piano: prioritario è riuscire a far eleggere dal Gran Consiglio il candidato della propria area politica. Nella quale il candidato si riconosce per davvero, per convinzione ideologica. O nella quale è emigrato per convenienza, per tentare di agguantare la nomina. Sì, succede anche questo.

Tutto ciò è semplicemente imbarazzante e avvilente. Lo è per gli stessi candidati, che se non sono sponsorizzati da un partito hanno scarse o nulle possibilità di entrare in magistratura, nonostante l’introduzione, con la riforma della Costituzione cantonale del 1997, del concorso e della Commissione di esperti per offrire concrete opportunità di accesso alle funzioni di giudice e pp anche agli indipendenti, a coloro che non vogliono essere targati partiticamente. È imbarazzante e avvilente agli occhi e alle orecchie dell’opinione pubblica. Ed è imbarazzante e avvilente per il potere giudiziario, che nel momento importante e delicato del reclutamento dei magistrati finisce nel tritacarne delegittimante azionato dai partiti.

Quanto avvenuto con le proposte di elezione confezionate dalla commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’ all’indirizzo del plenum del Gran Consiglio in vista della designazione dei subentranti delle pp dimissionarie Pedretti e Alfier è l’ulteriore dimostrazione che il sistema vigente è giunto al capolinea. E allora non resta che togliere – totalmente o parzialmente – al legislativo cantonale, previa modifica costituzionale, la competenza di nominare i magistrati, perlomeno quelli inquirenti, ovvero i procuratori. Perché sino a quando questa competenza rimarrà del Gran Consiglio, i mortificanti spettacoli circensi continueranno. Inevitabilmente, dato che in parlamento stanno i partiti con le loro logiche. E a ben poco servono i preavvisi sulle nuove candidature espressi dalla Commissione di esperti indipendenti. Per un paio di motivi. Il primo: le valutazioni non sono vincolanti, visto che oggi l’autorità di nomina è il Gran Consiglio. Il secondo: limitarsi a dire, nel parere finale, che un candidato è idoneo o non idoneo non aiuta i deputati nella scelta, specie quando i candidati sono più di uno (perlomeno fino al 2019 c’era anche il “particolarmente idoneo”).

Come riformare allora la procedura di nomina? Il procuratore generale Andrea Pagani ha prospettato una soluzione, come indicato dal governo rispondendo recentemente a una mozione del granconsigliere liberale radicale Matteo Quadranti: al Gran Consiglio il compito di eleggere unicamente la Direzione del Ministero pubblico, una Direzione eventualmente allargata; al Consiglio di Stato o al Consiglio della magistratura il compito di nominare tutti gli altri procuratori, dopo concorso pubblico e selezione delle candidature fatta dalla Direzione del Ministero pubblico, che trasmetterebbe le proposte di designazione all’autorità di nomina. Un possibile scenario da cui senz’altro partire per un indispensabile dibattito finalizzato a individuare la strada migliore. Di sicuro non è quella dell’elezione popolare, che accentuerebbe la presenza dei partiti.

Tra governo e Consiglio della magistratura, riteniamo preferibile optare per il secondo, magari rivisto nella sua composizione, quale autorità di nomina (è sostanzialmente quanto suggeriva già nel 2014 un’iniziativa parlamentare dell’allora deputata dei Verdi Michela Delcò Petralli). Il Consiglio della magistratura è l’autorità che vigila sul funzionamento dell’apparato giudiziario ticinese, con poteri disciplinari su pp e giudici. Presieduto dal giudice d’Appello Damiano Stefani, si è intanto dotato, sollecitato anche dal parlamento, di un regolamento estremamente dettagliato (è stato pubblicato sul Bollettino ufficiale delle leggi del 23 febbraio): 51 articoli in vigore dal 1º marzo. Ricordiamo, peraltro, che già ora il Consiglio della magistratura si esprime sull’idoneità di quei giudici e procuratori che alla scadenza del mandato decennale si ricandidano. Affidare al Cdm la competenza di nominare, salvo la Direzione, il resto della quadra del Ministero pubblico consentirebbe inoltre di ridurre i tempi di sostituzione dei procuratori dimissionari, essendo gli avvicendamenti tutt’altro che rari in seno all’autorità penale inquirente.

Insomma, per quel che concerne il rimpiazzo delle procuratrici Pedretti e Alfier, non è stato un bello spettacolo quello offerto sin qui dai partiti coinvolti. Con l’aggravante di trovarsi in un momento dove, invece, le istituzioni dovrebbero mostrarsi al di sopra di ogni sospetto. Lo abbiamo scritto in entrambi gli articoli sul tema: non siamo di fronte a niente di illegale. Ma l’opportunità in politica e, soprattutto, quando si parla della nomina di figure che possono decidere della libertà di ogni persona, dovrebbe essere un concetto da seguire in maniera imprescindibile. La vicenda che riguarda Alvaro Camponovo è emblematica: chi era almeno fino a tutto il 2022 membro del Comitato distrettuale del Luganese per i Verdi liberali adesso è portato in palmo di mano dalla sua nuova folgorazione sulla via della poltrona, quella leghista, e per di più da parte di una deputata che lavora come direttrice amministrativa nella ditta di cui il padre di Camponovo è amministratore unico. Niente di illegale, lo ripetiamo. Ma viene davvero da chiedersi che fiducia debba esserci da parte della popolazione, e anche da parte di competenti candidati che magari hanno ottenuto una licenza superiore non in un ‘diplomificio’ come il fu istituto Fogazzaro di Breganzona, con tanto di trasferte a Pomigliano d’Arco, provincia di Napoli, per i cosiddetti esami. E sarebbe ora anche di finirla con la demagogia che spesso accompagna i proclami della Lega, partito che da sempre a parole si oppone al ‘poltronismo’, parla di ‘fuchi’ a ogni piè sospinto, si definisce partito antisistema ma che questa vicenda dimostra, tra posti in magistratura e scranni nei Consigli d’amministrazione, che nel sistema c’è eccome e ci sguazza a meraviglia.

Ammesso che si arrivi alla soluzione di spoliticizzare le nomine in magistratura, o quantomeno di spartiticizzarle, assegnando a un’altra autorità la competenza di nomina, passerà del tempo. In questo tempo la politica – con una chiara assunzione di responsabilità – dovrà davvero farsi un esame di coscienza e rendersi conto che finché avrà il boccino sulle scelte, queste dovranno da un lato avere la competenza come fattore dirimente, dall’altro dovranno essere accompagnate da una trasparenza cristallina e che faccia avere al cittadino una fiducia completa verso l’autorità che non solo ne tutela diritti e libertà, ma che un giorno potrebbe perseguirlo. Oggi questa fiducia, anche per responsabilità della politica e per le arti circensi di cui sopra, non è così granitica. Con tutto quel che ne consegue.

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