I sostenitori della spesa/investimento dovranno avere solidi argomenti per convincere i cittadini dell'acquisto dell’immobile da destinare alla Giustizia
Sullo stabile Efg – diventato nel giro di una manciata di minuti stabile Rfo, acronimo non di una banca, quale è la proprietaria attuale dell’imponente immobile, bensì di Referendum finanziario obbligatorio – la vera partita comincia adesso, in vista della chiamata alle urne dei cittadini. Saranno loro a decidere in via definitiva il destino di quello che negli intenti del governo e della maggioranza del parlamento dovrebbe essere a Lugano il fulcro della ‘Cittadella della giustizia’, progetto che, inclusa la prospettata ristrutturazione del vicino Palazzo di giustizia, da tempo in condizioni precarie, mira a conferire una sede confacente alla Magistratura. Ieri sera il Gran Consiglio pur dando luce verde ai 76 milioni per l’acquisto dello stabile Efg ha deciso infine per l’Rfo. Niente referendum facoltativo, dunque. Il dossier viene sottoposto direttamente a tutti gli aventi diritto di voto tramite appunto il Referendum finanziario obbligatorio, strumento di recente introduzione in Ticino che, se da un lato consente di coinvolgere il popolo sovrano, senza passare dalla tradizionale raccolta di firme, su spese/investimenti di importo rilevante, dall’altro deresponsabilizza di fatto il legislativo, con deputati che subito dopo essersi espressi a favore di un credito approvano l’Rfo. Ma così è.
E allora i sostenitori dell’acquisto dello stabile Efg dovranno avere solidi argomenti per convincere i cittadini con diritto di voto, e dell’intero cantone, della bontà della spesa/investimento. Dell’utilità di quei 76 milioni. Dovranno spiegare e ribadire che non esistono piani B. Dovranno riuscire a fugare i legittimi dubbi sull’opportunità della prevista presenza sotto lo stesso tetto, quello dell’immobile Efg, del Tribunale penale cantonale, autorità giudicante di primo grado, e della Corte d’appello e di revisione penale, istanza di secondo grado. Dovranno riuscire a convincere della spesa/investimento coloro che più che al decoro degli uffici giudiziari tengono alla celerità delle risposte della Magistratura e alla qualità di decreti e sentenze. Insomma, l’impresa si preannuncia impegnativa. Soprattutto per la somma in ballo, 76 milioni. Soprattutto quando si profila una manovra governativa bis di risparmi nel sociale per conseguire l’agognato pareggio dei conti del Cantone.
Appare comunque inconcepibile che in tutti questi anni, anche quando le finanze pubbliche non andavano male, lo Stato e la politica non siano stati in grado di assicurare una sistemazione idonea. Quello della logistica è stato il Leitmotiv dei discorsi di insediamento e di bilancio di diversi presidenti del Tribunale d’appello, delle relazioni del Consiglio della magistratura, di interviste. Come quella concessa alla ‘Regione’ nel giugno 2018 dall’allora procuratore generale John Noseda, qualche giorno prima di andare in pensione, a proposito del Palazzo di giustizia di via Pretorio a Lugano: “Qui sono entrato per la prima volta come magistrato il 2 gennaio 1973 e mi dissero: ‘È una sede provvisoria’. La sede non è cambiata. Ci sono problemi di spazio. E di sicurezza. I colleghi magistrati di altri Paesi sono sempre rimasti sorpresi: ‘Perché la vetrata del tuo ufficio non è blindata?’”.
Così come appare inconcepibile che lo Stato e la politica ancora non attribuiscano, e anche questo sarebbe un investimento, rinforzi (magistrati) a quelle autorità giudiziarie oggi in affanno per l’elevata quantità di incarti da smaltire e per nuovi compiti da eseguire derivanti da modifiche legislative. Governo e Gran Consiglio dovrebbero forse riattivare la riforma ‘Giustizia 2018’. Stavolta però con obiettivi chiari. E da realizzare.