Mosca parla di riposizionamento tattico e non di ritirata. E ora ha un alleato, la stagione più fredda, con ucraini ed europei bisognosi del gas russo
Ora il Cremlino potrebbe puntare sul ‘Generale Inverno’. Sul grande gelo. Quello che ti imprigiona e ti blocca nel ghiaccio e nel fango. Quello che, secondo una narrazione storica in realtà assai sommaria, consentì al generale Kutuzov in epoca zarista di sconfiggere la Grande Armata di Napoleone e in epoca sovietica al comandante Zukov di sopraffare i panzer e gli assedianti nazisti. Oggi la disfatta dell’esercito russo a Izyum, nonché in una vasta area dell’Ucraina orientale con conseguente precipitoso ritiro dell’esercito del neo-zar, riapre al governo di Kiev le porte del Donbass ribelle, obiettivo prioritario ma non unico dell’"operazione militare speciale" lanciata da Putin il 24 febbraio.
"Non ritirata, ma tattico riposizionamento delle nostre truppe", assicura Mosca, contro ogni evidenza. "Spettacolare riconquista di vasti territori già occupati dal nemico", ribadisce invece Zelensky. Che però aggiunge di temere l’arrivo dei mesi gelidi, quando il nemico sarà in grado di lasciare al freddo e al buio milioni di compatrioti tagliando le fonti energetiche, e di tentare la contro-contro-offensiva.
Il ‘Generale Inverno’, appunto. A cui Vladimir Putin affida anche la speranza di piegare gli europei, ancora dipendenti dal gas russo e già alle prese con la fortissima spirale dei prezzi che si abbatte non solo su settori produttivi energivori ma anche sulle economie domestiche, con la prospettiva di migliaia di fabbriche chiuse, disoccupazione, altissime tensioni sociali, governi in netta difficoltà, vantaggi politici ed elettorali per le opposizioni populiste considerate dal Cremlino possibili alleati contro le sanzioni economiche, l’eventuale grimaldello da manovrare contro l’"ostilità guerriera" di Nato e Unione Europea (consegna di ordigni sofisticati all’Ucraina, che, grazie all’addestramento occidentale, ne sa fare ‘buon’ uso).
Messaggi anti-Putin a Kiev sotto il monumento alla Madrepatria (Keystone)
Sanzioni inefficaci e che non fanno male alla Russia, si insiste da più parti. E, come se si trattasse del ‘Libro dei libri’, a supporto di questa conclusione viene citato l’Economist per una sua recente analisi. Della quale, in realtà, converrebbe rileggere questa parte centrale: "Il susseguirsi delle sanzioni non ha espugnato la fortezza Russia. Nel frattempo i costi del gas sono saliti alle stelle e (per l’Europa, ndr) il costo politico delle sanzioni è in aumento. Quindi l’Occidente sta perdendo la sfida economica? Non proprio": soprattutto se perdurasse per la Russia l’impossibilità di importare tecnologia e componenti essenziali per la propria industria, se continuassero le grandi difficoltà di trovare a breve mercati alternativi, se le esportazioni dei prodotti energetici continuassero a essere venduti fuori dal Vecchio continente con obbligati sconti anche al 20 per cento. In prospettiva (fra il 2022-2023, pronostica la Banca mondiale) rischia ancor più l’industria di Putin, con un Pil quest’anno in discesa dell’11 e un’inflazione al 22 per cento.
Ecco lo scenario per diversi aspetti paradossale di una parallela doppia crisi, su entrambi i lati della nuova "cortina d’acciaio". Certo: inflazione, vergognose speculazioni sui prezzi, carenza di materie prime, merci bloccate nei porti, tutto è cominciato prima della guerra. Prima dell’aggressione imperiale russa. Che vi ha aggiunto tragedie e micidiali veleni. "Too big to fail", la Russia di Putin? La domanda rimane aperta. Tragicamente aperta. In una totale mancanza di spiragli.