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Cedu, Svizzera e la perfezione

Mentre mi appresto a scrivere l’ennesima opinione sulla famigerata sentenza Cedu che ha stabilito la violazione, da parte della Svizzera, dei diritti dei cittadini in merito alla mancata presa di misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, mi torna alla mente Dick Marty che, in seno al Consiglio d’Europa, ha avuto un ruolo di primaria importanza, dando lustro alla Svizzera come pochi altri. Marty è scomparso pochi mesi fa, ho avuto la fortuna di incontrarlo velocemente per presentarmi a lui: ne sono riuscito a cogliere quel senso della giustizia che travalica completamente i limiti plumbei dei singoli Stati nazionali.

Tantissimi ancora oggi sembrano confondere Consiglio d’Europa e Unione europea: quando scrivo “in molti” mi riferisco ai cittadini, sì, ma soprattutto a molti rappresentanti della nostra classe dirigente. Il Consiglio d’Europa è un organo che ha origine nel 1949, non per fattori economici – come l’Ue –, ma che prende le mosse dagli orrori della Seconda guerra mondiale, come tentativo di stabilire i principi e i diritti umani inviolabili condivisi dagli Stati moderni e liberali. Parallelamente al Consiglio d’Europa, nasce la Cedu, la Corte Europea dei Diritti dell’uomo volta a far valere la relativa Convenzione. La Svizzera, in virtù di quella neutralità che troppo spesso si traduce in opportunità economica, non aderisce subito. Il biasimo di Dick Marty: “Scelta deludente e riprovevole mancanza di solidarietà”. La Svizzera sottoscrive la Cedu solo nel 1974, anche grazie all’eliminazione di quelle norme che ne ostacolavano l’adesione: una fra tutte quella sul voto delle donne, introdotto incredibilmente solo nel 1971. Ancora Marty fa notare che la Corte di Strasburgo ha contribuito in maniera sostanziale all’aggiornamento del nostro ordinamento, ordinamento che conteneva norme che “violavano principi fondamentali come la presunzione di innocenza o la separazione dell’autorità di giudizio da quella che conduceva l’istruttoria”. La Corte ha condannato a più riprese la Svizzera. Grazie alle sentenze della Corte di Strasburgo oggi abbiamo un solo Codice di procedura penale anziché ventisei codici cantonali; i malati di cancro causato da amianto possono fare causa al loro datore di lavoro; il superamento del divieto di sposarsi entro tre anni dal divorzio.

La Svizzera è un Paese in cui la democrazia funziona bene, senza dubbio, ma non è perfetta. Il volto a tratti xenofobo dei partiti di destra la caratterizza sempre di più e la dottrina antieuropeista è sempre più anacronisticamente presente. Si tratta della stessa dottrina di chi ha proposto, nel 2018, l’iniziativa contro i giudici stranieri che chiedeva sostanzialmente l’uscita dal Consiglio d’Europa: se l’iniziativa fosse passata – e non passò, nemmeno in Ticino! –, la Svizzera sarebbe andata a fare compagnia alla Bielorussia e i suoi cittadini sarebbero stati privati del diritto di ricorrere alla Corte di Strasburgo. È questo che vogliamo? Credere a una Svizzera infallibile, sempre più chiusa in se stessa e disposta a relazionarsi con il mondo solo quando sono in ballo interessi economici?

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