Rispondiamo a un articolo di Francesca Rigotti apparso sul Corriere del Ticino lo scorso 6 luglio. In occasione di un ricordo di Nuccio Ordine, scomparso il 10 giugno scorso, Francesca Rigotti riflette sulla centralità che gli studi classici e umanistici dovrebbero avere nelle nostre scuole e lamenta una progressiva crisi di questo indirizzo di studio. Secondo Francesca Rigotti la responsabilità è da far risalire alla politica scolastica del Decs, che avrebbe favorito altri indirizzi di studio. Tra questi in particolare identifica le nuove opzioni specifiche di Arti visive e di Filosofia-Pedagogia-Psicologia.
Chi scrive è stato responsabile della progettazione e dell’attivazione della opzione specifica Arti visive nei licei ticinesi, quindi è senz’altro di parte nell’analisi di questa realtà, ma le affermazioni di Francesca Rigotti ci sorprendono e non ci sembrano corrispondere alla realtà.
Noi siamo completamente d’accordo con Francesca Rigotti quando afferma che la cultura classica dovrebbe avere una importanza centrale nella formazione degli allievi del medio superiore, per la buona ragione che questi studi garantiscono l’accesso al linguaggio su cui si fonda il nostro pensiero, la nostra storia e la nostra capacità di capire il presente e di progettare il futuro. Non siamo d’accordo con lei invece quando definisce le nuove opzioni specifiche “offerta formativa al ribasso” e “indirizzi deboli che attirano le iscrizioni di liceali dal profilo molto esile”. Non ci sentiamo qualificati per parlare della opzione specifica Filosofia-Pedagogia-Psicologia, possiamo però affermare con serenità che gli allievi che in questi ultimi sei anni hanno frequentato l’Os Arti visive al liceo di Mendrisio non meritano il ritratto che Francesca Rigotti fa di loro.
L’indirizzo di studio Os Arti visive è stato progettato proprio per contribuire, nel complesso degli studi medio superiori, al raggiungimento di quella consapevolezza dei linguaggi alla base del nostro pensiero, della nostra cultura. La capacità critica, la capacità di approfondire, la competenza di lettura richieste agli allievi permettono loro di compiere un percorso formativo che va proprio nella direzione indicata da Ordine; l’arte è forse l’emblema della ‘inutilità’, che si oppone programmaticamente all’opportunismo performativo evocato da Merlini.
Dentro una scuola, pensata come comunità che intende costruire la capacità di interpretare il mondo, dove ognuno ha un suo ruolo e cerca di fare la sua parte, questo indirizzo di studio si occupa di un linguaggio complesso, che origina e identifica il nostro pensiero, la nostra cultura e la loro evoluzione, incidendo profondamente sulle strategie di comunicazione contemporanee.
Ciò che ci stupisce nell’articolo di Francesca Rigotti è che le considerazioni, indubbiamente pesanti, espresse non sono giustificate né approfondite in nessun modo, una parentesi buttata lì a fine articolo e lasciata in sospeso. Queste affermazioni purtroppo hanno il sapore del pregiudizio, che non ha bisogno di essere sostanziato, ma che in compenso attecchisce molto bene e contribuisce a costruire e a rafforzare il medesimo pregiudizio nei lettori. Siamo certi che la cultura e lo studio raggiungono il loro obiettivo quando riescono efficacemente a porsi come ostacolo alla pigrizia del ‘sentire comune’, quando con la libertà che ci è data dalla consapevolezza riusciamo a opporci al pregiudizio appunto.
Tutti gli allievi che hanno frequentato l’Os Arti visive in questi anni sono stati nostri allievi, li conosciamo uno per uno, e non corrispondono alla descrizione che ne fa Francesca Rigotti, che invitiamo a raggiungerci in futuro nelle nostre aule, durante le nostre lezioni, dentro il percorso formativo che è offerto ai nostri allievi.
Difendere la differenziazione degli indirizzi di studio significa sostenere un’idea di educazione che sappia resistere alla necessità di specializzazione e di performatività; significa offrire l’opportunità agli allievi di applicare le loro capacità di apprendimento e di approfondimento in campi diversi, dove talenti diversi possono realizzarsi e rifuggire in questo modo dall’idea, che non condividiamo, di allevare una élite. Infine, forse, significa anche coltivare la speranza che questa scuola partecipi all’attenuazione delle disuguaglianze che la società produce.