In Piazza Riforma, tutti stretti (anche troppo) intorno all'artista italiano per un grande concerto. Sì, mancavano l'evergreen e un 'Buonasera', ma non è una novità
Si chiamava ’50 Years of Azzurro’ ma poteva pure chiamarsi ‘Quarant’anni di Via con me’, unico bis. Quando Paolo Conte, dopo una buona ora e mezza di spettacolo, torna sul palco, si appoggia alla marimba e fa il gesto del coltello alla gola: la cosa può significare che (uno) non ne ha più, oppure che (due) gli hanno detto che il tempo a disposizione è finito. O forse è la conclusione un tantino ‘Snob’ (splendido divertissement dall’omonimo album del 2014, cantato a inizio serata) che ancora una volta, a Lugano, c’impedisce di ascoltare dal suo autore quella specie d’inno nazionale che darebbe il titolo al concerto, gesto un po’ dovuto per noi che “le cose che cantiamo van ben per i soldati e i muli” (e anche questa volta con le citazioni abbiamo dato).
Comunque sia, il pubblico di Piazza Riforma, ‘Azzurro’, se l’è cantata da sé mentre guadagnava l’uscita, al termine di un concerto che è stato un sunto del ‘Live in Caracalla’, album pubblicato nel 2018, il vero 50ennale di quella canzone echeggiata per tutto il lockdown e suonata dal suo autore in una delle molte iniziative benefiche online, giusto un anno fa in una clip da un minuto, accennata al pianoforte, dal salotto di casa con le onoreficenze alle spalle e una foto dell’amata moglie Egle in primo piano.
Poco aggiunge, l’assenza di ‘Azzurro’, a una scaletta intensa, essenziale e virtuosa, anche nel senso di virtuosismi, sopra un palco con il tradizionale tendaggio dei concerti del maestro, “che dimostra una commovente fedeltà al suo tappezziere” (© Erroi), dentro una piazza in cui il problema del giorno non è stato il biglietto salatissimo. Perché la Lugano ‘viziata’ dal gratuito Estival Jazz dovrà farsene una ragione: da tempo, assistere alle performance dei ‘padri fondatori’, magari con orchestra di undici elementi, costa più che in passato; 90 franchi di partenza è (si aggiunga un ‘purtroppo’, è lecito) quanto chiede per esempio Elton John all’Hallenstadion, ma in una struttura con 11mila posti a sedere; 90 franchi per un posto nell'ultimo anello dal quale Elton John, che già è piccoletto di suo, si vede ancor meno. Quanto alle prime file, quelle dei grandi della musica sono tariffe da Billionaire: sempre restando in ambiti di pianisti, Billy Joel a New York vuole mille dollari.
Il problema del giorno di Lugano, pertanto, è stato piuttosto questo ‘Evento senza certificato Covid’ per il quale la capienza di Piazza Riforma sarà pure stata ridotta e la mascherina non obbligatoria, ma tutti eravamo vicini vicini come ai bei tempi, quando applaudivamo gratis le stelle di Estival. Difficile, gomito a gomito, “tenersi a distanza di 1,5 m dove possibile e seguire le indicazioni dello staff”, come recitava il biglietto. E così, gomito a gomito, qualcuno ha scelto di applaudire con la mascherina, oggetto che, al di là dell’importante funzione sanitaria, attenua i danni prodotti dagli stonati e lascia comunque libere le orecchie di fare la loro onesta, fondamentale funzione di orecchie.
Tornando al concerto. I tempi storici di un’intera carriera sono rimbalzati di decennio in decennio con l’urto elastico di una pallina impazzita che sa quello che fa: da ‘Sotto le stelle del jazz’ a ‘Come dì’, dall’album eponimo del 1984 che ha aperto all’astigiano le porte delle sale francesi prima e quelle dell’Eliseo poi, lui Cavaliere delle Arti e delle Lettere in apertura di Nuovo millennio, lui e tutto il francesismo e i rebus linguistici, citazioni colte dei francesi per parlare di Francia anziché d’Italie, e Parigi trampolino di lancio per l’Europa e le Americhe. Brano dopo brano, con l’artista ad aprir bocca solo per fare nomi e cognomi degli splendidi musicisti e polistrumentisti alle sue spalle (chi si aspettava almeno un ‘Buonasera’ se ne faccia una ragione, è così da sempre), Lugano ha ascoltato, col violoncello di Francesca Gosio davanti, i sei versi in croce di ‘Languida’, ‘chicca’ da un generoso ‘Aguaplano’, album del 1987 che ha regalato pure ‘Max’, ‘Ratafià’ e ‘Recitando’; ha ascoltato anche ‘Gioco d’azzardo’ e ‘Dancing’, dall’altrettanto generoso ‘Appunti di viaggio’ (1982), quello di ‘Diavolo rosso’, affresco del ciclista astigiano Giovanni Gerbi e di un’epoca tutta, affidato al solismo di Massimo Pizianti, passato dal bandoneón alla diatonica.
Il concerto in due tempi di Caracalla, a Lugano, lascia per strada ‘Sudamerica’ e ‘Messico e nuvole’, se si misura Paolo Conte a sempreverdi, ma si tiene strette ‘Alle prese con una verde milonga’ da, appunto, ‘Paris milonga’ (1981), il jazz che si tuffa nel sud america, e ‘Gli impermeabili’, fiducioso e imprescindibile terzo capitolo della saga del Mocambo, col suo tema da pelle d’oca corale e il solo di Claudio Chiara che strappa applausi, per lui e per tutti. ‘Le chic e le charme’ è la passerella francofona per il bis. Che è – a velocità doppia, di nuovo – ‘Via con me’. Di titolo e di fatto.
Tornando al distanziamento. MyNina, l'organizzatore, ci fa sapere che “il piano di protezione approntato per i tre eventi in programma il 24, 25 e 26 agosto rispetta le disposizioni federali e cantonali in materia di eventi”. È proprio così. In base alle suddette disposizioni, per eventi pubblici all'aperto non limitati alle persone con certificato Covid, possiamo sedere in Piazza Riforma come a Estival Jazz, in armonica vicinanza e senza mascherina. Se l'organizzatore è assolto, meno ‘assolte’ allora sono le disposizioni. Certo è che in molti – anche chi dalla piazza ha scritto a questo giornale chiedendosi una serie di perché – si sarebbero attesi una Piazza Riforma ‘reloaded’: meno persone, stesso perimetro, più spazio tra le sedie, meno rischi di starnutirci sul collo (perché è successo).