Il Tribunale d'appello ha accolto il ricorso della Commissione paritetica edilizia sconfessando la Pretura di Bellinzona favorevole a una ditta di Cresciano
Per determinare se un cavista debba sottostare al Contratto generale mantello per l’edilizia principale in Svizzera (Cnm), più che la tipologia di pietra lavorata fanno stato le attività svolte, i processi di lavorazione effettuati e le mansioni affidate ai dipendenti. Con queste conclusioni la seconda Camera civile del Tribunale d’appello ha accolto a fine dicembre il ricorso inoltrato nel novembre 2017 dalla Commissione paritetica cantonale dell’edilizia e del genio civile contro la decisione con cui il mese prima la Pretura di Bellinzona aveva accolto la richiesta di una cava di Cresciano, richiesta risalente al gennaio 2016, volta a evitare l’assoggettamento obbligatorio al nuovo Cnm. Una sentenza importante (ancora impugnabile al Tribunale federale) che consolida la giurisprudenza già maturata avendo il Tf nel frattempo già cassato un analogo ricorso di una cava valmaggese che oltre a contestare, a torto, una violazione sul salario percepito da un dipendente, si opponeva, pure a torto, all’assoggettamento obbligatorio al Cnm. In tal senso si consolida la base legale e legislativa in difesa degli stipendi, delle condizioni di lavoro e del diritto al prepensionamento a 60 anni per i circa 250-300 operai attivi nelle cave ticinesi.
In passato la ditta di Cresciano è stata firmataria del Contratto collettivo di lavoro cantonale nel ramo del granito e delle pietre naturali in vigore da un centinaio d’anni ma decaduto a fine 2011 non essendo stato rinnovato; impossibile trovare un accordo fra la trentina di ditte del ramo e le parti contrattuali. In questo contesto, nell’ottobre 2015 la Commissione paritetica aveva quindi assoggettato la cava di Cresciano al Cnm. Dal canto suo il Consiglio federale nel 2013 aveva operato una distinzione, sancendo l’obbligatorietà per le imprese impegnate nella “lavorazione della pietra, attività di cava e imprese di selciatura” e la non obbligatorietà per la sola “lavorazione del marmo e del granito”. È incuneandosi in questa distinzione che la ditta rivierasca ha chiesto l’esonero dall’obbligatorietà. Un tentativo fatto con l’appoggio morale (e forse anche finanziario, viste le salate spese legali e giudiziarie) di una ventina di altri cavisti in linea con la sua opinione. Questo proprio mentre una dozzina di altre cave nell’estate 2016 si era riunita in una nuova associazione di categoria denominata ‘Ticino-Gneiss’: nata sulle ceneri della disciolta Associazione delle industrie del granito e delle pietre naturali, si è poi frantumata dopo appena un anno e mezzo.
Tornando alla cava di Cresciano, come detto la sua richiesta di non assoggettamento era stata accolta dalla Pretura di Bellinzona, la cui decisione era poi stata impugnata dalla Commissione paritetica considerando la reale attività svolta dalla ditta, ovvero l’estrazione in loco di pietra naturale, e meglio ‘gneis’, e l’improprio utilizzo della denominazione ‘granito’ nel propugnare la propria tesi. Secondo la Commissione paritetica è infatti indubbio che la ditta svolga attività di cava con tanto di estrazione e successiva lavorazione della pietra. A conferma di ciò vi sono la classificazione aziendale da parte della Suva e il sistema previdenziale di prepensionamento all’età di 60 anni concesso appunto alle ditte rientranti nel campo di applicazione del Cnm. Nel ricorso la Commissione paritetica annotava altresì come la ditta di Cresciano si sia sempre rifiutata di accettare i controlli da parte degli ispettori e di produrre dichiarazioni di autocertificazione; quanto necessario insomma per confermare o negare l’assoggettamento al Cnm. Ma anche senza poter effettuare le necessarie verifiche – proseguiva la Commissione paritetica nel ricorso – risulta sufficientemente chiaro che gli operai siano occupati in modo preponderante nelle attività tipiche rientranti nel campo di obbligatorietà del Contratto nazionale mantello. Sempre secondo la Commissione la Pretura avrebbe dunque erroneamente ignorato tale circostanza e ritenuto a torto di poter operare un distinguo in base alla natura della pietra lavorata.
Il Tribunale d’appello (Tda) ha sposato la tesi della Commissione paritetica non da ultimo considerando la giurisprudenza del Tribunale federale (Tf) già espressosi nel giugno 2019 nei confronti di una cava valmaggese che pure chiedeva il non assoggettamento. Cava, quest’ultima, a sua volta sconfessata nel giugno 2018 dalla medesima Camera del Tda e, peraltro, patrocinata dalla stessa avvocata che assiste attualmente la ditta di Cresciano. Su questo punto il Tda fa notare che la cava valmaggese rivolgendosi all’Alta corte di Losanna aveva proposto pedissequamente le conclusioni della Pretura di Bellinzona ora di nuovo censurate. Leggendo fra le righe, parrebbe un invito a evitare ricorsi al Tf vista la possibilità quasi nulla di riuscita. Nelle proprie motivazioni il Tribunale d’appello ribadisce che “determinante per la distinzione fra assoggettamento e non assoggettamento, è il tipo di attività svolta e non la materia lavorata”. A questo riguardo cita anche le terminologie usate dal Consiglio federale in tedesco e francese laddove, riferendosi alle moderne tecniche usate in cava, parla dell’ausilio di “specifici macchinari che consentono il taglio primario della pietra, il trasporto a valle della cava e una prima suddivisione in blocchi o lastre secondo dimensioni, tipologie e caratteristiche dell’utilizzo finale”. Da qui la coerenza con gli altri campi di attività sottoposti a Cnm, mentre quelli non assoggettati “prescindono da un’attività di cava, estrazione, lavorazione preliminare e trasporto”. A questo riguardo il Tda evidenzia poi come la ditta di Cresciano non abbia dimostrato con esattezza l’esistenza sul proprio areale di altre attività non connesse al Cnm. A ogni modo il Tf ha già detto che una ditta mista va comunque integralmente assoggettata al Cnm, anche qualora l’attività esulante dal suo campo d’applicazione fosse preponderante.
I sindacati Unia a Ocst membri della Commissione paritetica guardano con ottimismo alla sentenza del Tribunale d’appello. Qualora venisse confermata senza ricorsi al Tf, o successivamente avallata da Losanna, «consoliderà la garanzia per tutto il settore estrattivo delle buone condizioni di lavoro previste dal Cnm», annota il sindacalista Unia Igor Cima: «In particolare metterà i giovani lavoratori al riparo dal rischio di assunzioni a salari più bassi di quanto consentito e gli scalpellini in generale dal rischio di perdere il prepensionamento anticipato a 60 anni, diritto riconosciuto sin dal 2003 e fra le conquiste più importanti fatte nell’ultimo ventennio». Va comunque detto che nel 2018 la ditta di Cresciano, avendo in quel periodo partecipato a un appalto pubblico, si era sottoposta a un’ispezione da cui era emerso il suo pieno rispetto del Cnm; rivolgendosi alla Pretura, mirava a scardinare il principio dell’obbligatorietà. «Le due sentenze, quella del Tf sulla cava valmaggese e quella del Tribunale d’appello sulla cava di Cresciano, danno in modo convergente un’importante certezza alla base contrattuale per il settore del granito, ancorandolo al Cnm», aggiunge Paolo Locatelli di Ocst: «Attendo di vedere come reagiranno i cavisti ticinesi. Il mio auspicio è che riconsiderino la necessità di un partenariato contrattuale cantonale, dopo la purtroppo rapida conclusione di Ticino-Gneiss. Sarebbe un passo vitale per l’intero settore».