Impact Journalism

Un pizzico d'Afghanistan

22 settembre 2014
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di Bianca Blei/Der Standard, Austria

In Austria, il progetto ‘Topfreisen’ permette ai richiedenti l’asilo di preparare i loro piatti nazionali, che verranno poi serviti per pranzo nella regione di Mödling.

Basta affacciarsi al corridoio, e già si sente odore di passata di pomodoro, macinato rosolato piccante e cipolle. È un profumo che riporta alla mente quell’aroma che si spandeva per la cucina della nonna, quando preparava le lasagne. Ma qui a Maria-Enzersdorf, a sud di Vienna, agli odori che tutti ben conosciamo se ne aggiungono di nuovi: ci sono infatti il cardamomo, i semi di finocchio e la badiana, che rilasciano i loro oli essenziali. Il cuoco Farid aggiunge sempre ai suoi piatti “un pizzico di Afghanistan”: ed ecco che anche oggi le lasagne sono condite con un tocco della sua vecchia patria. È un odore che sa un po’ di vacanza, ed è giusto così.

Con il progetto ‘Topfreisen’, la ventottenne Cornelia Mayer intende far intraprendere ai suoi futuri clienti un viaggio gastronomico attraverso Paesi che non rientrano tra le mete classiche degli austriaci. Parliamo di Afghanistan, Somalia, Pakistan. Sebbene il Ministero degli esteri austriaco scoraggi i viaggi in questi Stati, dall’ufficio è proprio verso queste regioni del mondo che si dovrà fare rotta all’ora di pranzo.

Dopo essere fuggiti in Austria da guerre e conflitti armati, i rifugiati coinvolti nel progetto preparano pietanze tradizionali dei loro Paesi d’origine, per poi rivenderle nella zona di Mödling, in Bassa Austria.

La fase pilota per un servizio di consegna e ritiro, che dovrebbe rendere il mondo un posto leggermente migliore, partirà in ottobre – eppure già oggi le giornate sono dominate da una frenetica attività nella cucina dell’alloggio della Caritas di St. Gabriel, che accoglie i rifugiati mettendo loro a disposizione un antico edificio in laterizio collocato al centro di un complesso monastico in periferia. Da un anno, il quarantacinquenne Farid è responsabile per il vitto dei rifugiati minorenni. Indaffarato tra pentole e tegami, il cuoco di origine afgana si fa rapire dai penetranti aromi speziati, aprendo una dopo l’altra una serie di scatolette che sprigionano profumi d’oriente.

25 anni fa, Farid lasciò la sua terra per evitare di essere trascinato nella guerra contro i mujahidin. In Austria cominciò a sentirsi a casa, condividendo le sue esperienze nella nuova patria con i giovani che ogni giorno gli davano una mano in cucina. «È importante integrarsi nella società, ma senza dimenticare le proprie radici»: è questo il motto di Farid. Una rapida pacca sulle spalle, una timida risata durante una conversazione o una domanda su qualche vocabolo tedesco – tutti i giovani richiedenti asilo vedono in Farid un punto di riferimento. Si percepisce che è lui il cuore della cucina di St. Gabriel – e che probabilmente diventerà anche il cuore di ‘Topfreisen’.

Il progetto è guidato da Cornelia Mayer, che l’ha lanciato per soddisfare una propria esigenza personale. «Desideravo che per pranzo nel mio ufficio fosse possibile consumare piatti regionali appena preparati», racconta l’assistente sociale. Nel corso di un viaggio per il mondo, è andata alla scoperta di diversi progetti, guidata dal motto: «Fare del bene mangiando bene» – un’idea che l’avrebbe poi accompagnata fino al suo ritorno a casa. In St. Gabriel e nei suoi 140 richiedenti l’asilo, Mayer ha finalmente trovato un “partner perfetto”. La direzione dell’alloggio per rifugiati l’ha supportata sin dall’inizio, mentre la pianificazione del progetto ‘Topfreisen’ è “cominciata con molto ottimismo” alla fine del 2013, e finora è proseguita senza contraccolpi, racconta Mayer.

Il progetto dovrà essere inserito all’interno di un’associazione di pubblica utilità, poiché in Austria i richiedenti l’asilo non hanno diritto a lavori retribuiti. Tra le altre cose, i ricavi dovranno permettere di pagare ai residenti di St. Gabriel corsi di tedesco ed escursioni. Anche l’ispettorato d’igiene alimentare ha dato il nullaosta per il progetto, per quanto con alcune “piccole riserve”, tra cui ad esempio la necessità di montare un lavandino in cucina.

Se Cornelia Mayer vuole parlare con Farid del proseguimento del progetto, non può fare a meno di mettersi direttamente alla prova in cucina. «Non ho molto talento come cuoca», ammette la giovane; ma Farid non si scompone, mostrandosi paziente quando l’assistente sociale si appresta ad affettare i cetrioli per l’insalata con un coltello troppo grosso. Nel frattempo il quindicenne afgano Assadullah è intento a mescolare la besciamella. Per quanto Farid cucini volentieri con i giovani, per il progetto preferirebbe aiutanti adulti: «Sono più affidabili e non avrei così tanta paura che si facciano male».

Mayer vuole lanciare il progetto in ottobre con due team da due persone ciascuno. Un ufficio nel distretto viennese di Liesing si sarebbe già offerto come cliente pilota. Non è ancora chiaro quanto costerà una porzione del viaggio culinario: si sta ancora lavorando al piano finanziario. L’unica cosa certa è che si è alla ricerca di sponsor. «Dobbiamo ancora capire se il progetto sarà supportato da tanti piccoli sponsor o da un unico grande sponsor», spiega Mayer. In cambio, gli sponsor sarebbero i benvenuti qualora volessero inserire messaggi pubblicitari sugli imballaggi – che naturalmente dovrebbero essere biodegradabili. Mayer preferirebbe però che fossero i clienti stessi a portare da casa i propri contenitori.

Mediante interviste telefoniche, l’iniziatrice del progetto si è già informata in via preliminare sui desideri e sulle aspettative dei potenziali clienti di ‘Topfreisen’. Oltre ad augurarsi un’offerta variegata, con piatti appena preparati, un pensionato del luogo avrebbe un desiderio particolare: a pranzo vorrebbe sedersi a tavola con i richiedenti l’asilo. Si tratta di uno scenario che per Mayer non è certo impensabile – si tratterebbe solo di chiarire gli aspetti legali della cosa. In ogni caso, la giovane assistente sociale rimane ottimista come lo era all’inizio sulla buona riuscita del progetto. Indicando le pentole di Farid, conferma: «Le pietanze non hanno un che di estraneo; sono solo speziate in maniera diversa e rappresentano ogni volta una nuova esperienza». Un pizzico di Afghanistan, appunto.

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