Per conoscere il bilancio del più sanguinoso attacco del Pkk contro l'esercito turco dopo la rottura a luglio della tregua, in vigore dal 2013, ci sono volute 24 ore. Un lungo e inusuale silenzio prima di certificare la morte di 16 soldati e il ferimento di altri 6 nell'esplosione di mine piazzate dai guerriglieri curdi al passaggio di due blindati sulla strada tra Daglica e Yuksekova, vicino al confine con Iran e Iraq.
Che la situazione fosse grave lo si era già capito quando il premier Ahmet Davutoglu aveva lasciato in fretta e furia lo stadio di Konya, dopo aver assistito al vittorioso match di qualificazione agli Europei di calcio della Turchia contro l'Olanda.
La rappresaglia turca non si è fatta attendere. Quattro jet F-16 e tre F-4 si sono alzati in volo per bombardare 23 obiettivi del Pkk nel sud-est della Turchia, in quella che comunque appare solo come una prima risposta.
È in questo clima di guerra intestina che la Turchia è pronta a calarsi nella campagna elettorale che in poche settimane la condurrà al voto anticipato del primo novembre. "Se un partito politico fosse riuscito a ottenere 400 deputati per fare una nuova Costituzione, oggi la situazione sarebbe molto diversa", ha detto ieri sera Erdogan rievocando il voto del 7 giugno, da cui per la prima volta in 13 anni non uscì una maggioranza assoluta per il suo Akp. La rottura della regua si spiega anche così.