L'analisi

Il Pakistan ancora in bilico

17 dicembre 2014
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Una spaventosa carneficina. Ma la strage degli innocenti a Peshawar, quasi tutte le vittime sono bambini, non è un atto isolato. Spesso dimenticato dalla cronaca, il Pakistan rimane uno dei Paesi più violenti e instabili al mondo. E anche dei più pericolosi e strategicamente rilevanti, considerando il suo potenziale nucleare. La mattanza di ieri è solo l’ultima di un’interminabile serie di massacri. La lunga scia di morte ha fatto registrare attentati di paragonabile crudeltà ed entità lo scorso anno, tra cui quelli in una chiesa, sempre a Peshawar e in una moschea sciita, a Quetta. Tra le pagine più buie quella scritta nel dicembre di sette anni fa a Rawalpindi, con l’uccisione di Benazir Bhutto, preceduta qualche giorno prima da una strage, oltre 130 morti, nel corso di un meeting della stessa ex premier. Corruzione, violenza, povertà, disuguaglianze, sovrappopolazione (170 milioni di abitanti in un territorio grande quanto l’Italia): un cocktail micidiale nel quale si sono innestate da decenni le lacerazioni regionali ed etnico-confessionali: tre conflitti con l’India per il controllo del Kashmir, i moti indipendentisti nel Belucistan, gli scontri sciiti-sunniti alimentati dalla rivalità con l’Iran, e soprattutto la madre di tutte le guerre regionali attuali, quella afghana. I taleban del Ttp (Tehrik-i-Taliban) hanno rivendicato il sanguinoso attentato giustificandolo come rappresaglia per l’operazione condotta la scorsa estate dalle forze armate nelle zone tribali del Nord Waziristan, che ha fatto quasi 2’000 morti e che era a sua volta stata decisa come rappresaglia per l’attentato perpetrato dai taleban all’aeroporto di Karachi in giugno. IL Ttp conta tra l’altro nel suo tetro curriculum il tentativo fallito di uccisione di Malala, la ragazzina da poco insignita del Nobel per la pace, oltre a una serie di attacchi contro gli Usa. Pur sposando la stessa ideologia oscurantista e radicale, la stessa matrice etnica (pashtun) e la stessa ostilità anti-americana, i taleban pachistani e quelli afghani non condividono la strategia nei confronti del governo pachistano di Nawaz Sharif: per gli uni è il nemico da abbattere, per gli altri un possibile alleato, malgrado i passi compiuti in direzione del neoeletto presidente afghano Ashraf Ghani. Non è in effetti un caso che il regime sia considerato da tempo doppiogiochista dagli occidentali. Lo scacchiere pachistano è in assoluto uno dei più complessi: Sharif è troppo filo-islamista per l’Occidente, troppo filo-americano per i taleban pachistani, visto con sospetto dagli islamisti del Kashmir per il suo riavvicinamento al nemico giurato, l’India. Senza dimenticare che il premier, personalità tra le più ricche e potenti del Paese, conosciuto come il “leone del Punjab”, da mesi è pesantemente contestato a suon di manifestazioni e scioperi di massa, da Imran Khan, star del cricket, eroe nazionale e leader dell’opposizione, che lo considera un usurpatore. Il Paese è dunque di nuovo pericolosamente in bilico: nei primi commenti degli esperti della regione si profila il consenso su un punto: la strage dei bambini costituisce uno spartiacque nella tribolata storia del Paese. Anche se ancora non è chiaro chi ne trarrà beneficio. Il governo, moralmente rafforzato di fronte al Paese dall’atrocità perpetrata dai suoi nemici? O forse i taleban che con la loro spietatezza hanno messo a nudo la vulnerabilità e l’impotenza del regime?

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