Commento

Forse questa è ‘post-democrazia’

23 gennaio 2015
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Se sarà tutto più o meno vero ciò che si prospetta dopo la decisione della Banca Nazionale (tsunami), dovremmo comunque ammettere che si è scaricata sui cittadini una rivoluzione dall’alto, piena di conseguenze, senza che essi abbiano svolto una parte attiva. È una prima disincronia che fa già pensare. Alcune schizofrenie coperte dal fragore suscitato dall’evento danno però più da pensare. Ad esempio, un singolare spostamento di soggetto del segreto, fortuna e istituzione fondamentale della Svizzera. Illustri studiosi hanno sostenuto negli ultimi tempi che l’azione dei governi «post-democratici» si svolga ormai all’insegna del segreto, a cominciare dalla gestione piuttosto reazionaria della crisi economica a suon di misure funzionali alla ridistribuzione verso l’alto della ricchezza o alla sistematica distruzione dei sistemi nati a tutela dei lavoratori. C’è buona parte di realtà. Nel nostro caso succede di peggio: della decisione della Banca Nazionale la segretezza è stata tale da escludere ogni informazione persino all’organo politico per eccellenza, il Consiglio federale, caduto dalle nuvole, con giravolte un poco imbarazzanti. Se la politica monetaria è un pilastro della politica economica, se ne deve dedurre che la politica nella sua completa e democratica accezione è stata esclusa… dalla politica. Anche se finalità della politica è il bene comune e quindi bisognerebbe valutare le conseguenze di ogni azione politica sul bene di tutto il popolo. C’è quindi un istituzione che ha assunto poteri politici di forza prorompente (devastante, diranno alcuni) aldilà di ogni possibile filtro di altra istituzione politica-democratica. Forse questa è «post-democrazia». Negli scritti o nei dibattiti seguiti alla decisione, è emero un altro tipo di schizofrenia. Nel paese del libero mercato, della concorrenza, dell’autoregolamentazione e dell’esclusione massima possibile dello Stato dai propri affari, ci si accorge, da un lato, del fallimento o della pericolosità del mercato lasciato a briglia sciolta (è il mercato libero che determina il rapporto di cambio tra le monete) e si invoca, d’altro lato, l’intervento esterno, antinomico, artificioso, per imbrigliare il mercato e dargli quella razionalità che gli manca, non solo economica ma anche democratica (la protezione di una soglia minima per il tasso di cambio è perlomeno una dichiarazione di difesa dal mercato). Bisognerebbe trarre la conclusione che il mercato va regolato non solo quando sta creando danni o quando fa comodo alla finanza o agli ambienti economici. La schizofrenia più grossa sta però nell’atteggiamento ormai imperante di considerare l’ambiente nazionale (o quello cantonticinese) come il solo politicamente rilevante. Quasi che il gioco delle carte, dalle finanze ai frontalieri, fosse sempre nelle nostre mani, bravi, unici e ragionevoli sopra tutti. Quanto è capitato in questi giorni, nonostante si tenta di fargli assumere un senso di sovranità e di strategica su decisioni che si stanno prendendo altrove, in Europa, sta a dimostrare che siamo comunque enormemente dipendenti e condizionati dagli altri. Costretti persino a correre con il deprecato euro.

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