Svizzera

Scialpinisti morti, ancora incerte le cause del decesso

Il gruppo era composto da una famiglia vallesana e una sesta persona di Friburgo. Si ipotizza il decesso per ipotermia o una valanga

Il comandante della Polizia cantonale vallesana Christian Varone e la mappa della zona delle ricerche
(Keystone)
11 marzo 2024
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Non è ancora chiara la causa del decesso dei cinque sciescursionisti morti nelle Alpi vallesane durante il fine settimana. Secondo gli inquirenti, che oggi hanno fatto il punto della situazione in una conferenza stampa a Sion, non è ancora possibile stabilire se gli alpinisti siano morti assiderati o sotto una valanga. Le ricerche di una sesta persona, dispersa, proseguono.

L'identificazione formale delle vittime è ancora in corso, ha detto la procuratrice generale Béatrice Pilloud, aggiungendo che l'indagine avviata dal ministero pubblico cantonale intende stabilire cronologia e circostanze della tragedia.

Per il momento è assodato che cinque degli sciescursionisti coinvolti appartenevano a una famiglia vallesana e che la sesta persona è una donna domiciliata nella città di Friburgo, ha indicato il comandante della polizia cantonale Christian Varone. Uno dei morti era membro del municipio del Comune di Vex, all'entrata della Val d'Hérens, nel Vallese centrale, ha indicato il sindaco, confermando informazioni dei media locali. I sei alpinisti avevano un'età compresa tra 21 e 58 anni.

Le ricerche del disperso, si spera ancora in vita, proseguono nel settore della Tête Blanche, montagna che culmina a 3710 metri di quota e segna il confine tra Vallese e Italia. È in questa area, a 3500 metri, che ieri sera i cinque alpinisti sono stati trovati senza vita. Erano stati localizzati grazie a una telefonata di uno di loro, ha ricordato Fredy-Michel Roten, direttore dell'Organizzazione cantonale vallesana dei soccorsi.

Scavare nella neve per proteggersi

Roten ha spiegato che quando si riescono a contattare i dispersi al telefono "si dà l'informazione di proteggersi al meglio (...), di fare un buco" nella neve. In casi del genere "si prova sempre a rimanere in contatto, poi bisogna vedere anche i mezzi che si hanno a disposizione, c‘è purtroppo la questione della batteria" del telefono. Varone, senza fornire dettagli, ha indicato che i cinque alpinisti hanno fatto tutto il possibile per mettersi in sicurezza.

L'agenzia di stampa italiana Ansa, che cita non meglio precisati "ambienti vicini ai soccorritori", scrive che le vittime hanno con ogni probabilità tentato di scavare una buca nella neve per trovare riparo dal freddo e dalla bufera. Le fonti di Ansa ipotizzano che i cinque siano morti per ipotermia, dopo che il gruppo aveva perso l'orientamento nella tempesta di neve.

’Provato l'impossibile‘ nei soccorsi

Dopo aver ricevuto l'allarme, l'altro ieri attorno alle 16.00, i vari servizi di emergenza competenti hanno fatto tutto il possibile per salvare i dispersi, ha sottolineato Varone: "Tutto è stato fatto sul piano umano, sul piano delle risorse (...), abbiamo provato l'impossibile. Talvolta dobbiamo inchinarci alla natura", ha detto.

Complessivamente sono intervenuti undici elicotteri, tra cui due Super Puma dell'esercito, e oltre 35 persone, tra cui una decina di medici specializzati. Tuttavia, le condizioni meteorologiche "catastrofiche", unite alla scarsa visibilità e al rischio di valanghe, hanno reso a lungo impossibile per i soccorritori raggiungere i dispersi una volta localizzati. Le temperature erano estremamente basse.

’È la montagna a decidere'

Gli inquirenti tendono a imputare il dramma alle forze della natura. La procuratrice Pilloud ha sottolineato che in montagna le condizioni possono "cambiare repentinamente" ed "è importante non giudicare le persone", avendo rispetto nei "loro confronti" e "verso le loro famiglie".

Varone dal canto suo ha indicato che le condizioni meteorologiche a Zermatt (VS), da dove i sei alpinisti sono partiti sabato mattina alla volta di Arolla, nell'alta Val d'Hérens, "erano relativamente buone, prima di peggiorare rapidamente. È la montagna a decidere", ha detto.

Anjan Truffer, guida alpina e responsabile del soccorso alpino per Zermatt, che ha preso parte alla ricerca delle vittime della tragedia, ritiene che la responsabilità degli sciescursionisti è palese. "È certamente negligente intraprendere tali tour con queste previsioni meteo", dice in un'intervista pubblicata nel primo pomeriggio sul sito del quotidiano zurighese Blick.

I precedenti

L'esperto traccia un parallelismo con la morte di sette alpinisti avvenuta nell'aprile 2018 nella regione della Pigne d'Arolla. Anche allora, come in questo fine settimana, il favonio violento, accompagnato da abbondanti precipitazioni, era previsto.

Anche Varone ha ricordato davanti ai media sia questa tragedia sia quella dell'aprile 2000 che, sempre nella stessa regione, era costata la vita a due persone. "Il nostro cantone fa i conti con molte tragedie in montagna".

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