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Quando gli dèi del calcio scelsero la Grecia

Il Portogallo padrone di casa perde nello stadio del maledetto Benfica. È il trionfo inatteso di una squadra votata alla difesa ad oltranza

La festa della Grecia, campione d’Europa 2004
(Keystone)
2 maggio 2024
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Maledetto Estádio da Luz, campo del maledetto Benfica. Lì, il 4 luglio 2004, si è giocata la finale dell’Europeo rimasta indigesta ai portoghesi padroni di casa, battuti da una squadra, la Grecia, che nessuno si sarebbe mai aspettato arrivasse fino in fondo, a tal punto che i vari bookmaker, a inizio torneo, l’avevano quotata tra 80 e 150/1 (peggio, solamente la Svizzera e la Lettonia), la stessa considerazione che si concede al cavallo brocco dell’ippodromo.

Forse bisognava scegliere un altro stadio, pensarci prima, ricordarsi di Béla Guttmann e del suo anatema dopo la doppia vittoria in Coppa dei Campioni con il suo Benfica, reo di non avergli voluto pagare un bonus per la doppia impresa europea. Correva l’anno 1962 quando Guttmann sbatté la porta lanciando la sua celebre maledizione contro il club (“non vincerà mai più una Coppa Campioni nei prossimi cent’anni”) e – per estensione – contro il calcio portoghese tutto. Ha funzionato, per un po’, e con il Benfica funziona ancora, visto che non solo non ha più vinto un torneo europeo, ma ha perso una quantità di finali esorbitante: cinque di Coppa dei Campioni, una di Coppa Uefa e due di Europa League.


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La festa per le strade di Atene

A rompere il digiuno portoghese in Coppa Campioni fu, nel 1987, l’arcirivale del Benfica, il Porto, a 39 giorni esatti dalla finale di Euro2004, si era ripetuto battendo 3-0, in una finale di Champions League totalmente imprevista, il Monaco di Didier Deschamps. L’allenatore del Porto era un giovane José Mourinho, la cui carriera decollerà definitivamente la stagione successiva, alla guida del Chelsea. Sulla panchina del Portogallo sedeva invece Luiz Felipe Scolari, campione del mondo in carica con il Brasile.

Un tedesco ad Atene

L’altra finalista, la Grecia, si era invece affidata – in uno di quei cortocircuiti da romanzo calcistico – alla sua nemesi, vale a dire un tedesco: Otto Rehhagel. Il suo esordio sulla panchina ellenica fu tragico, una sconfitta per 5-1 contro la tutt’altro che temuta Finlandia. E anche le qualificazioni a Euro 2004 partirono male: 0-2 in casa con la Spagna, 0-2 in trasferta con l’Ucraina. Ad Atene iniziarono a girare voci su un esonero di Rehhagel: da quel momento la Grecia vinse tutte le partite e volò, da prima nel suo girone, alla fase finale degli Europei, torneo in cui le era stato assegnato il ruolo di comparsa. Le favorite erano altre: la Francia campione in carica, l’Italia finalista a Euro2000 (e poi vincitrice del Mondiale due anni più tardi), il Portogallo padrone di casa e la Spagna. Poco più indietro nei favori del pronostico c’erano Olanda, Germania e Repubblica Ceca. Se proprio bisognava pensare a un outsider lo sguardo degli opinionisti non volgeva al Mediterraneo, ma verso nord: a Svezia e Danimarca.


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Il ct della Grecia, il tedesco Otto Rehhagel

Cambiare il proprio destino

Insomma, i greci erano la vittima designata del girone A, con le due favorite Portogallo e Spagna e il ruolo del terzo incomodo assegnato alla solita incostante Russia. Che le cose non stavano davvero così si sarebbe dovuto capire già dall’incontro inaugurale, in cui la Grecia sconfisse 2-1 i portoghesi, capaci di segnare il gol della bandiera solo al 93’ con un subentrato nemmeno ventenne, il numero 17 Cristiano Ronaldo. Quel risultato fu preso come un incidente di percorso, d’altronde spesso le grandi competizioni iniziano e si aprono con una sorpresa (l’Argentina sconfitta dal Camerun a Italia ’90, l’Inghilterra fermata sul pari dalla Svizzera a Euro ’96, i francesi battuti dal Senegal ai Mondiali del 2002).

Nella seconda giornata il Portogallo si riscatta e batte la Russia, mentre i greci strappano un pareggio alla Spagna. Il derby iberico diventa così decisivo: lo vincono i portoghesi che chiudono il girone in testa. La Spagna invece è fuori, per un gioco d’incastri e differenza reti, nonostante la concomitante sconfitta della Grecia con la Russia. Il secondo pass per i quarti di finale è della squadra di Rehhagel a cui tocca la Francia di Zidane, Henry e Trezeguet.


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Un tifoso svizzero. Molto tifoso e molto svizzero

La Svizzera era stata sorteggiata nello stesso girone dei transalpini, ma – a differenza dei greci – non fa nulla per smentire le fosche previsioni della vigilia, chiudendo ultima con un punto. L’esordio è uno scialbo 0-0 con la Croazia, e l’unico acuto – dopo i tre schiaffi presi dagli inglesi – è il gol del momentaneo pareggio di Vonlanthen contro i francesi, che però riprendono il largo nella ripresa con una doppietta di Henry. Una spedizione da dimenticare.

Lo sputo di Totti e il biscotto nordico

La grande sorpresa degli altri gironi è l’eliminazione dell’Italia, vittima di sé stessa, di un colpo di calcio-karate di Ibrahimovic, del gioco ultradifensivo del ct Trapattoni, del polverone alzatosi dopo lo sputo di Francesco Totti al provocatore danese Christian Poulsen e del celebre ‘biscotto’ nordico infornato da Svezia e Danimarca, che all’ultima giornata avevano bisogno di un 2-2 per passare entrambe e 2-2 finì, lasciando Cassano in lacrime dopo il suo inutile gol-vittoria contro la Bulgaria. L’altra delusa è la Germania, che inciampa nell’esordiente Lettonia (0-0) e chiude con due soli punti dietro a Repubblica Ceca e Paesi Bassi.


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Il colpo di calcio-karate di Zlatan Ibrahimovic in Svezia-Italia

Nei quarti di finale gli dèi del calcio iniziano a divertirsi facendo andare di traverso il biscotto a danesi e svedesi, i primi sconfitti 3-0 dai cechi, i secondi battuti ai rigori dai Paesi Bassi. Anche il Portogallo passa dal dischetto, in modo tuttavia inusuale quando il portiere Ricardo si toglie i guanti, para il tiro dell’inglese Vassell a mani nude e poi va a calciare lui stesso, segnando e regalando la semifinale ai suoi. Il vero colpo di scena è l’eliminazione della Francia contro una Grecia in formato fortino, che passa con un colpo di testa del centravanti Charisteas, il primo dei tre che porteranno la coppa ad Atene.

Il ‘silver goal’ di Dellas

Il secondo colpo di testa, in semifinale, è opera di un difensore con un nome da eroe omerico, Traianos Dellas, posizionato da Rehhagel in un ruolo antico, il libero, staccato di diversi metri, come ormai non si usa più da un pezzo. Dellas funziona dietro e anche davanti quando negli ultimi secondi del primo tempo supplementare devia in rete un corner da destra. Non c’è più tempo: la Grecia passa in virtù di una regola appena introdotta che – a conti fatti – servirà solo a lei, visto che dopo gli Europei viene abolita: è il silver goal, figlio del pensionato golden goal, quello che, nei tempi supplementari, “chi segna vince”. Il silver goal invece è un ibrido: se fai gol nel primo tempo e gli avversari non pareggiano, il secondo tempo non si gioca. Andrà così, con la rete di Dellas. La Grecia si ritrova da un momento all’altro in finale, di nuovo contro il Portogallo, che nel frattempo ha promosso a titolare Cristiano Ronaldo, decisivo nella semifinale con i Paesi Bassi. Per la prima volta, la partita inaugurale di un Europeo sarà anche l’atto conclusivo.


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Il rigore parato da Ricardo senza guanti contro l’Inghilterra

Figo? No, Zagorakis

E quindi, possibile che il Portogallo perda due volte in casa nello stesso torneo contro la stessa squadra, per di più molto meno dotata e quotata? Sì. Grazie a un altro colpo di testa del centravanti Charisteas e a una difesa ermetica che chiude la fase a eliminazione diretta senza subire un gol.


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Il gol decisivo di Charisteas nella finale di Lisbona

Il quartetto delle meraviglie Figo, Deco, Ronaldo, Rui Costa (partito dalla panchina) s’inchina di fronte a nomi che non appartengono al gotha calcistico: Seïtaridīs, Vryzas, Katsouranīs, Basinas. Tutto era pronto per vedere il numero 7 Luís Figo, Pallone d’oro e stella del Real Madrid (strappato al Barcellona per 60 milioni di euro), alzare la coppa. Sul podio sale sì una maglia numero 7, ma è quella del carneade Theodōros Zagorakīs, centrocampista del meno roboante Aek Atene (prelevato gratis dal Leicester), assistman della finale ed eroe per caso. Può iniziare un lungo interminabile sirtaki al maledetto Da Luz e per le strade della Grecia: gli dèi del calcio avranno pensato che il malinconico fado mal s’addiceva a una notte di festa.


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Capitan Zagorakis con la coppa

Questa è la dodicesima di sedici puntate sulla storia degli Europei di calcio che ci accompagnerà fino alla vigilia di Germania 2024.

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