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Gasperini l’eretico e la differenza dell’Atalanta

Ha cambiato la status europeo della sua squadra con un calcio contro-culturale che ha fatto scuola e raccoglie applausi. Eppure le big lo snobbano

Gian Piero Gasperini
(Keystone)
20 aprile 2024
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C’è un allenatore che ha battuto 3-0 il Liverpool ad Anfield. E prima l’Ajax ad Amsterdam, il Valencia e il Borussia Dortmund a casa loro. C’è un allenatore che ha raccolto una squadra che lottava per non retrocedere e l’ha trasformata in una che si qualifica ogni anno alle coppe. Una squadra temuta nei più grandi stadi d’Europa. C’è un allenatore che è riuscito in ciò che è più difficile nel calcio: far entrare nell’élite una squadra che non le appartiene. Un allenatore che gioca un calcio coraggioso, aggressivo, spettacolare nella particolare cifra estetica della contemporaneità – e quindi un calcio adrenalinico, rischioso e senza compromessi. Un allenatore così importante che nel suo campionato le rivali sono state costrette a imitarlo, o a cambiare per adottare strategie per batterlo. Nel calcio di oggi, in cui le squadre si costruiscono attorno alla visione degli allenatori, sarebbe uno degli allenatori più ricercati e desiderati d’Europa. E invece il nuovo nome non è accostato a nessuna delle grandi panchine che promettono di liberarsi in estate.


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La festa dopo il 3-0 al Liverpool

Gian Piero Gasperini è legato all’Atalanta con una profondità da calcio degli anni ’80 e ’90, e rappresenta una delle poche storie romantiche di una cultura che sembra voler fare a meno del romanticismo. È arrivato a Bergamo nel 2016 e tutto gli è cambiato attorno: la sua squadra, la Serie A, il calcio europeo, ma lui è ancora lì, a 66 anni, con la solita energia visionaria, la capacità di re-immaginare l’Atalanta ogni anno in modo diverso.

Il passaggio in semifinale contro il Liverpool è stato il suo grande capolavoro, “La partita più importante della nostra storia” l’aveva definita prima – e l’Atalanta è stata a un passo da una semifinale di Champions. Dopo il 3-0 dell’andata era importante non subire gol presto e spaventarsi, e l’Atalanta ha subito l’1-0 del Liverpool da calcio di rigore dopo sei minuti. C’erano tutti i presupposti per uno psicodramma, ma l’Atalanta è ormai una squadra matura e non ha mai tremato. Ha resistito al Liverpool non con la disperazione o l’eroismo, ma affidandosi alle idee, ai principi costruiti con pazienza e anni di lavoro. “A fine primo tempo ho chiesto ai miei giocatori se volessero abbassarsi un po’. Neanche uno mi ha detto di sì. È il trionfo del mio lavoro”. Poi si è lasciato andare a un aforisma non da lui, che ha sempre concesso poco alla comunicazione: “A vincere senza pericolo si trionfa senza gloria”.


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Scamacca, una delle scommesse vinte in questa stagione

Un personaggio borderline

Se Gasperini è ancora lì non è solo per romanticismo, ovviamente, o per il profondo legame che lo lega all’Atalanta e alla sua tifoseria, ma anche perché in tutti questi anni non ha mai ricevuto un’offerta davvero convincente. Nessun club di alto livello, in Italia o in Europa, ha pensato di costruire la propria squadra attorno alle sue idee. Non è semplice capire il perché, ed è difficile non pensare a una specie di pregiudizio nei suoi confronti.

Forse c’entra il trauma originario di Gasperini, ovvero l’esonero dall’Inter nel 2011 dopo appena cinque gare ufficiali. Uno dei due allenatori della storia nerazzurra a non aver riportato vittorie. Quando a inizio estate i giornalisti avevano chiesto a Moratti se potesse essere Gasperini l’uomo giusto il presidente aveva risposto con un milanesissimo: “Ma per favore”. Tre giorni dopo venne ufficializzato, per provare a ricostruire finalmente l’Inter dopo il triplete di Mourinho, e un’annata travagliata con Benitez e Leonardo. La rosa era in uno strano limbo tra vecchi campioni stanchi e giovani in cerca d’autore. A Gasperini, celebre al Genoa per il suo 3-4-3 e il gioco sulle catene laterali, mancavano proprio profili di qualità sugli esterni. Il suo staff tecnico venne decimato, anche per il veto posto su alcuni ex juventini. Il classico conflitto tra un allenatore dalle idee forti, e che ha bisogno di un certo contesto per lavorare bene, e un club che non è intenzionato ad assecondarle. Dopo di lui l’Inter ci mise diversi anni a ritrovare un senso. Eppure è rimasta l’idea, da quell’esperienza, che Gasperini non sia adatto a un grande club, a livello umano e tattico.

Un aspetto che ha alimentato la sua auto-narrazione di allenatore eversivo, borderline, a suo modo anti-sistema. Ogni volta che è tornato su quell’esonero non ha mancato di aggiungere un commento salace, con toni stranamente livorosi per un tecnico di quel livello – che dovrebbe quindi essere abituato all’arte diplomatica. “Non ricordo di essere mai stato in una grande squadra. L’Inter non lo era, almeno come valori tecnici”.


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Il quarto di finale di Champions League contro il Psg

Dichiarazioni che fanno parte di un personaggio che non ci ha mai tenuto a piacere agli altri. E non c’è persona più antipatica di quella che non ci tiene a starti simpatica, soprattutto nel contesto italiano, dove la simpatia è considerato un valore supremo, costituzionale. Questo aspetto ha costruito un’immagine anti-eroica di Gasperini, o quanto meno di un genio intrattabile, di un allenatore bravo ma insopportabile. Viene fischiato e contestato in diversi stadi, e lui non si sottrae dal conflitto. Dopo una partita a Firenze, in cui è stato fischiato e insultato per novanta minuti, ha dichiarato: “Mi immagino che nei sei anni su sette in cui in Europa c’è andata l’Atalanta ai tifosi della Fiorentina non abbia fatto piacere. Capisco la frustrazione nel vedere una squadra come la nostra sempre davanti”.

L’impero delle rivincite personali

Gasperini si è sempre sentito rifiutato dall’élite del calcio, e all’Atalanta ha costruito il suo piccolo impero di rivincita personale. In un documentario che gli ha dedicato Dazn un paio d’anni fa le telecamere entrano nei suoi uffici. Gasperini, eccezionalmente sorridente, ci tiene a mostrare al giornalista un grosso faldone contenente gli articoli che la stampa aveva scritto contro di lui nelle prime settimane all’Atalanta. In quei giorni si parlava chiaramente di esonero. L’Atalanta aveva 3 punti in 5 partite ed era penultima in classifica. Le idee di Gasperini sono così radicali che hanno bisogno di tempo per essere assorbite. Per i giocatori è come imparare il calcio da capo. Poi è arrivata una vittoria col Napoli, e una striscia di successi che ha portato l’Atalanta al quarto posto. La prima di tante stagioni incredibili.

L’aspetto spigoloso di Gasperini, però, non lo ha aiutato ad apparire seducente ai massimi livelli. Non ha un passato da grande giocatore, non è interessante ai microfoni e mostra sempre una strana voglia di litigare. Quasi ogni inizio stagione si lamenta del calciomercato della società. Il calcio d’alto livello è più elitista di quanto possiamo immaginare, e un personaggio del genere – non aziendalista, disinteressato al marketing e al personal branding – viene rigettato facilmente. Un trattamento non troppo dissimile a quello ricevuto da Maurizio Sarri, ex banchiere, fumatore, perennemente in tuta, che ha dovuto far giocare alla sua squadra il calcio migliore d’Europa – quello del Napoli 2017/18 – per guadagnarsi una panchina istituzionale come quella della Juventus.


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La coppia simbolo della prima Dea del Gasp, Gómez-Ilicic

Gasperini, però, non è spigoloso solo in campo. Forse proprio perché non ha un passato da grande calciatore con cui farsi scudo, si è costruito una fama da tecnico autoritario. Un allenatore da allenamenti lunghi, gestione psicologica opprimente. Diversi giocatori hanno parlato male di lui una volta lasciata l’Atalanta. L’ultimo è stato Joakim Maehle, che ha definito il suo approccio dittatoriale e basato sulla paura.

L’episodio più noto, di questo genere, è quello del litigio con Alejandro Gómez, su cui in Italia è fiorita una corposa quantità di leggende metropolitane. Gomez è stato l’architrave del gioco di Gasperini per anni, il giocatore in grado di dare creatività e ispirazione a una squadra nota per la sua aggressività a tutto campo. In seguito a dissidi tattici e di gestione, Gómez – una leggenda del club, amatissimo dai tifosi – è stato messo fuori rosa e ceduto in Spagna. Come altri allenatori ideologi italiani, Sacchi su tutti, Gasperini non si fa problemi a ribadire la superiore importanza del collettivo sull’individuo. Non stupisce, allora, che un suo riferimento conclamato sia Louis van Gaal, noto per la sua gestione anempatica e scostante dello spogliatoio, metodico in allenamento, e con una predilezione chiara per giocatori-soldati, disposti a rinunciare alla dimensione individuale, meglio se giovani. Ruslan Malinovsky una volta passato all’Olympique Marsiglia si è lamentato che Gasperini gli vietava di calciare in porta.

Una macchina perfetta

Gasperini da giovane è stato folgorato dall’Ajax di van Gaal e il suo calcio è un’evoluzione di quei tratti, mescolati con un po’ di “bielsismo”. Fin dall’esperienza al Genoa, le squadre hanno espresso un calcio coerente, ma profondamente contro-culturale nel contesto italiano.

In una tradizione calcistica sempre basata sul pragmatismo e la riduzione dell’errore, le squadre di Gasperini hanno sempre giocato un calcio propositivo e basato sul rischio. Il suo pressing alto, fatto con marcature a uomo a tutto campo (diciamo “quasi” a tutto campo) costringe i suoi giocatori a letture perfette per tempi ed esecuzioni, altrimenti tutto il castello difensivo della squadra rischia di crollare.


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Un’altra storica vittoria, in casa dell’Ajax

Per la Serie A è stato difficile trovare delle contromisure a un approccio così radicale. L’Atalanta non è stata, e non è, solamente una squadra aggressiva e basata sul pressing. Negli anni sono diventati un marchio di fabbrica gli attacchi sulle catene laterali, costruendo triangoli e rombi continui per risalire il campo e attaccare. Per questo l’Atalanta ha sfornato, nel corso delle stagioni, centrali difensivi aggressivi e pronti a partecipare alla manovra, esterni ultra-cinetici e trequartisti in grado di dare la “pausa”. Dal suo arrivo l’Atalanta è la sedicesima squadra in Europa per entrate da cessioni, la quattordicesima tra quelle con un saldo positivo fra ricavi e perdite. Giovanni Sartori, il direttore sportivo oggi al Bologna, è considerato un altro dei grandi artefici di questo miracolo sportivo, ma bisogna sottolineare una volta di più l’inesauribile capacità di Gasperini di raccogliere le macerie del calciomercato e ricostruire rose sempre competitive, e sempre leggermente differenti. Quasi tutte accomunate da un gusto per prendere giocatori talentuosi ma grezzi o irrealizzati e portarli al massimo del potenziale: Gómez, Ilicic, Muriel, Zapata, Toloi, Scamacca, De Ketelaere.

Il picco è stato probabilmente raggiunto nella stagione 2019/20: terzo posto in Serie A con 98 gol segnati e quarti di finale in Champions League. Un’eliminazione amara e sfortunata per mano del Psg, nel più violento testacoda finanziario tra partecipanti alla coppa. In un campo neutro vuoto, nella distopica sterilità del Covid, l’Atalanta passò in vantaggio, per poi venir rimontata con un gol al novantesimo e uno nei minuti di recupero. “La semifinale sembrava a un passo”, commentò amaro Gasperini.

Resta la capacità di innalzare a quei livelli competitivi una squadra che non dovrebbe appartenergli. L’Atalanta, per anni, ha fatto saltare la diretta proporzionalità tra spese economiche e risultati sportivi che, pur con qualche eccezione, resta un assioma inevitabile del calcio di oggi. Gasperini ha dimostrato che attraverso la forza del lavoro e delle idee, e non dei capitali, si può cambiare status nel calcio europeo, e che si può arrivare a competere ai massimi livelli.


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Con uno dei suoi discepoli, Ivan Juric

Il Gasp e i suoi discepoli

La sua influenza sul calcio italiano è stata enorme. Oggi diversi suoi ex giocatori e discepoli allenano tra Serie A e Serie B, con squadre che seguono i suoi stessi principi. Anche chi si discosta dalla sua idea di calcio ha dovuto fare i conti con le sue marcature a uomo, imitandole o trovando l’antidoto per batterle. La fluidità dell’Inter di Simone Inzaghi, difficile da contrastare anche in Europa, è una caratteristica sviluppatasi anche come reazione alle marcature a uomo sempre più frequenti in Serie A. Eppure una parte dell’opinione pubblica continua a metterlo in discussione. Perché non ha ancora vinto un trofeo (l’Atalanta ha perso due finali di Coppa Italia) e a causa di una postura anti-intellettualista che in Italia fa guardare con sospetto agli allenatori che hanno successo attraverso una filosofia di gioco coerente, specie se contaminata da esterofilia. Altri aspetti che hanno contribuito alla sottovalutazione di Gasperini.

Dopo il successo contro il Liverpool, però, questo tipo di idee sono apparse in tutta la loro spompa retorica, a guardare i tifosi bergamaschi saltare, a pochi metri dai propri eroi, nell’ennesima notte europea gloriosa, epica. Glenn Stromberg, icona dell’Atalanta anni ‘80, ha detto una cosa semplice ma profonda: “Oggi tutti in Europa sanno chi è l’Atalanta, mentre ai miei tempi nessuno ci conosceva”. Davvero un risultato del genere può contare più di una Coppa Italia? “Questa vittoria non è una coppa, ma per noi vale come un trofeo” ha detto Gasperini dopo il 3-0 ad Anfield.

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