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Addio al derby del Polo Nord

Alle Svalbard, la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina due anni fa ha determinato fra l’altro la fine di una tradizione calcistica di lunga data

In sintesi:
  • Dopo l'invasione russa dell'Ucraina, molte cose sono cambiate anche nell'arcipelago delle Svalbard, uno dei centri abitati più a nord del pianeta
  • Fra le conseguenze del conflitto, anche la fine di un'antica tradizione calcistica, che vedeva sfidarsi una squadra norvegese e una russa
22 marzo 2024
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Il derby del Polo Nord è stato chiuso per guerra, anche se la guerra non c’è. Almeno, non nell’arcipelago delle Svalbard, dove fino allo scorso anno si disputava il torneo internazionale più a nord del mondo, che vedeva di fronte i norvegesi dello Svalbard Turn di Longyearbyen, il centro abitato più grande dell’arcipelago, contro i russi del Fc Barentsburg, provenienti dall’omonima cittadina mineraria rimasta oggi l’ultimo insediamento attivo legato a Mosca. Per la prima volta in 43 anni non ci sarà nessuna partita di calcio tra i due club, così come sono state sospese a tempo indeterminato diverse altre iniziative, come i tornei di scacchi, le partite di pallavolo e le visite delle rispettive orchestre sinfoniche e cori giovanili.

Lo scorso anno Emilien Hofman raccontava sul magazine inglese FourFourTwo come il derby del Polo Nord fosse un match particolarmente sentito negli anni della Guerra Fredda, a causa di significati politici e ideologici che lo scorrere del tempo aveva progressivamente sbiadito, fino a trasformarlo in un momento di aggregazione per persone provenienti da ogni parte del mondo e accomunate da una vita in condizioni estreme, dove la minimizzazione del rischio è parte integrante dell’attività quotidiana di ognuno. Un concetto cancellato nel giro di pochi mesi dallo sviluppo di una nuova Guerra Fredda tra i paesi della Nato e la Russia, con le Svalbard che rivestono un ruolo cruciale nell’assetto geopolitico tra le due parti.

Poche regole, ma chiare

Tre cose sono assolutamente vietate alle Svalbard: nascere, morire e non avere un lavoro. Nel primo caso è l’assenza di strutture ospedaliere adeguate per il parto a costringere le donne incinte a trasferirsi sulla terraferma almeno un mese prima dell’evento. Il divieto di morte è in realtà un divieto di sepoltura e deriva invece dalle temperature rigide e dal permafrost, il terreno perennemente ghiacciato, che impediscono la corretta decomposizione del corpo e quindi anche l’eventuale distruzione di virus al suo interno. Infine, è prevista l’espulsione per chiunque non possa provvedere autonomamente al proprio sostentamento, una misura in parte compensata dalla mancata esistenza di permessi di soggiorno per poter vivere nell’arcipelago. Una misura introdotta dal Trattato delle Svalbard nel 1920, che da un lato ha stabilito la sovranità norvegese sul territorio, e dall’altro ha permesso a tutti i Paesi sottoscriventi piena libertà commerciale al proprio interno. Non meno importante è il divieto di installazioni militari, ambito tornato prepotentemente d’attualità nel mutato quadro delle relazioni internazionali.

Dove c’è gente c’è un pallone

Dove esiste una comunità c’è un pallone che rotola. Una regola non scritta che si applica pressoché ovunque, anche ai confini del mondo. Nel 1930 a Longyearbyen, città che prende il nome dall’americano John Munroe Longyear, il primo serio investitore nelle aree minerarie del luogo, la compagnia mineraria Store Norske Spitsbergen Kulkompani (Snsk) fondò una polisportiva chiamata Svalbard Turn. Lo scopo era fornire momenti di svago ai propri lavoratori, visto che all’epoca la città era di proprietà della compagnia stessa, e solo dagli anni Novanta sarebbe passata sotto il controllo dell’amministrazione statale norvegese.

Lo Svalbard Turn calcistico è attivo soprattutto a livello giovanile, partecipando anche a competizioni sulla terraferma come la Nils Arne Eggen Cup, torneo intitolato al più grande allenatore norvegese di sempre, colui che portò il Rosenborg fino ai quarti di finale di Champions League. Le grandi difficoltà logistiche rendono però complicato per lo Svalbard Turn trovare avversari da affrontare al di fuori di questi tornei, basti pensare che Tromsø, la città che vanta il primato del club professionistico più a nord del mondo, si trova 916 chilometri più a sud di Longyearbyen.

Senza avversari

I ragazzi dello Svalbard Turn giocano quindi quasi sempre tra di loro, e queste partite dove tutti conoscono tutto degli altri finiscono con l’inaridire sul nascere qualsiasi abbozzo di talento, tanto che non è mai emerso nessun giocatore professionista dalle Svalbard. Fino allo scorso anno i giovani più bravi venivano convocati nello Svalbard Turn senior che disputava il menzionato derby del Polo Nord. Era una squadra a immagine e somiglianza della città, ossia un crogiuolo di nazionalità: l’ultimo censimento, effettuato nel 2022, ne ha contate 52 diverse.

Una volta la maggioranza era composta da pescatori e minatori, questi ultimi ormai sostituiti quasi interamente dai cercatori dopo che l’ultima miniera rimasta attiva a Longyearbyen è in fase di dismissione perché non rispetta gli standard norvegesi di eco-sostenibilità. Per le proprie peculiarità geologiche, la meteorologia e la fauna, le Svalbard sono al centro di numerosi progetti di ricerca, tra quali uno tra i più famosi è quello denominato Arca, che ha lo scopo di preservare i semi di tutti gli esemplari di flora in un luogo protetto da catastrofi naturali o da guerre.

Chiunque mostri sufficiente dimestichezza con un pallone tra i piedi può ambire a una maglia dello Svalbard Turn, con i momenti clou rappresentati dalle sfide contro il Barentsburg. Se ne disputavano quattro all’anno, due in casa e due in trasferta, sempre indoor, anche se a Longyearbyen esiste anche un campo all’aperto, fatto di sabbia e ghiaia, con un terreno molto irregolare e senza reti di protezione e quindi pressoché inutilizzato, sia per il rischio di potenziali infortuni che per le possibilità, tutt’altro che remote, di dover recuperare a più riprese il pallone nel fiume.

Tracce sovietiche

Barentsburg si trova 60 chilometri a est di Longyearbyen ma non è collegata da alcuna strada con la capitale amministrativa dell’arcipelago. L’unica cosa che le accomuna è l’origine del nome, anche in questo caso derivata da una persona, in questo caso l’esploratore Willem Barentsz. Nel 1932 i Paesi Bassi hanno ceduto l’insediamento e la relativa miniera alla compagnia mineraria sovietica Arktikugol, quindi di fatto allo stato russo. Tracce di Unione Sovietica rimangono ancora oggi pienamente visibili nella cittadina, dallo stile architettonico di molti edifici fino al busto di Lenin che troneggia al centro dell’agglomerato, l’unico rimasto sotto il controllo di Mosca dopo la chiusura, una ventina scarsa di anni fa, di Pyramiden, recentemente indicata dal National Geographic come una tra le migliori 10 città fantasma al mondo.

A differenza di quanto avviene a Longyearbyen, a Barentsburg l’attività estrattiva rappresenta ancora una componente importante e le famiglie sono in misura decisamente minore, perché il lavoratore tende a trasferirvisi da solo per lavorare in miniera o come guida e poi mandare i soldi a casa. Barentsburg non ha nemmeno una polisportiva strutturata come lo Svalbard Turn, nonostante in città non manchino associazioni sportive e culturali, come nemmeno tutto il necessario – scuole, asili, ospedali, attività commerciali e turistiche – per la vita della comunità.

Il Fc Barentsburg è una squadra dall’età media sensibilmente più alta di quella dei rivali: lo scorso anno si aggirava attorno ai 47 anni e annoverava anche elementi che il professionismo lo avevano almeno sfiorato, possedendo un passato nelle giovanili di società quali Shakhtar Donetsk o Dnipro. Società ucraine, perché fino agli inizi del 2023 la comunità ucraina era piuttosto folta in città e conviveva con quella russa senza alcun problema. Attualmente sono rimasti pochi ucraini a Barentsburg. La maggior parte è emigrata a Longyearbyen o in altre parti dell’Europa, essendo venuto meno quello che, a detta del socio-antropologo russo Andrian Vlakhov, la città nordica rappresentava per loro, ovvero “un porto sicuro da chiamare casa”.

Lo scorso 9 maggio la festa commemorativa dell’anniversario della vittoria sulla Germania nazista dell’Armata Rossa, evento tra i più sentiti e partecipati dall’intera comunità di Barentsburg, è stato trasformato in una parata militare con elicotteri, veicoli militari, bandiere russe e dei separatisti di Donetsk.

Il Sysselmann norvegese, ossia il governatore civile delle Svalbard, ha rifiutato l’invito. Le relazioni si sono ulteriormente raffreddate dopo le dichiarazioni del vice Primo Ministro russo Yuri Trutnev, che ha paragonato i diritti delle persone di lingua russa in Ucraina ai russi delle Svalbard. Secondo Oslo la Arktikugol, attraverso l’agenzia viaggi di proprietà Arctic Travel Company Grumant, agisce come longa manus del Cremlino. Da Longyearbyen non partono più visite turistiche verso Barentsburg. Dello sport si è già detto. Tornerà prima o poi il derby del Polo Nord? «Sono solo un amministratore, non un politico», ha risposto il Sysselmann Lars Fause all’emittente NRK. «Le questioni legate alla sicurezza e alla politica internazionale riguardano la Norvegia, l’Europa e la Russia, non le Svalbard e i russi. Io mi impegno a mantenere le relazioni con le autorità di Barentsburg il più amichevoli e costruttive possibili». Meno conciliante il presidente dello Svalbard Turn Signe Selven: «La fine della guerra è una condizione necessaria ma non sufficiente per la ripresa degli scambi. Ci saranno altre valutazioni che andranno fatte e che vanno oltre gli accordi politici».

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