Per l’ex giocatore del Milan definitiva la condanna a 9 anni di carcere. Il Brasile, però, non consente l’estradizione dei propri cittadini
La Procura di Milano ha inoltrato al Ministero della giustizia la richiesta di estradizione e il mandato d’arresto internazionale per l’ex attaccante del Milan Robinho.
Il calciatore è stato condannato in via definitiva, assieme ad un amico, il 19 gennaio a 9 anni di carcere per violenza sessuale di gruppo su una 23enne albanese.
La ragazza subì abusi in un locale del capoluogo lombardo la notte del 22 gennaio 2013. Gli atti a carico dell’ex calciatore e del suo amico, entrambi in Brasile, sono stati firmati dal pubblico ministero Adriana Blasco. Pare scontato che i due non saranno consegnati perché la Costituzione brasiliana non consente l’estradizione dei propri cittadini.
Con l’istanza di estradizione e il mandato d’arresto internazionale che ora le autorità italiane dovranno inviare a quelle brasiliane, nel caso in cui l’ex fantasista rossonero decidesse di espatriare rischierebbe, però, di venire arrestato. Nei giorni scorsi era stato iscritto il fascicolo per l’ordine di esecuzione della pena a carico dell’ex giocatore, Robson de Souza Santos, detto Robinho, 38 anni e quattro stagioni in rossonero tra il 2010 e il 2014, e dell’amico, Ricardo Falco.
La Suprema Corte ha reso definitivi i 9 anni decisi dal Tribunale milanese, a seguito dell’inchiesta del pm Stefano Ammendola, e confermati dalla Corte d’appello il 10 dicembre 2020. Per l’ex attaccante e per l’amico nel corso delle indagini non erano state emesse misure cautelari, mentre altri uomini, che avrebbero preso parte alle violenze, non erano stati trovati. Per questa vicenda, inoltre, il Santos, squadra carioca per la quale il calciatore era tornato a giocare dopo le esperienze anche col Manchester City e in Turchia, aveva deciso di sospendere il contratto a Robinho, dopo che erano state pubblicate sui media brasiliani intercettazioni del processo.
Secondo le indagini, l’ex stella brasiliana avrebbe fatto bere la ragazza fino al punto da renderla incosciente e poi il gruppo l’avrebbe violentata a turno, senza che lei potesse opporsi, in un guardaroba di un locale notturno della movida milanese, dove la giovane si era recata per festeggiare il compleanno. Il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser nel processo d’Appello aveva chiesto la conferma delle due condanne. Nelle motivazioni della sentenza di secondo grado la Corte ha scritto che l’ex punta e i suoi “complici” (altri quattro gli irreperibili) hanno manifestato “particolare disprezzo” nei confronti “della vittima che è stata brutalmente umiliata”.