Il vescovo Joseph Maria Bonnemain spiega perché l’abuso sessuale nella Chiesa è un problema di persone ma anche di struttura
«Al primo posto, non bisogna mettere la Chiesa, ma la sofferenza delle vittime di abusi sessuali. Dalle parole bisogna passare ai fatti». Non fa tanti giri di parole Joseph Maria Bonnemain, vescovo di Coira (dal 15 febbraio 2021) e responsabile (dal 2002) della Commissione ‘Abusi sessuali in ambito ecclesiale’ della Conferenza dei Vescovi Svizzeri. Per 20 anni ha accolto e ascoltato molte vittime. Sono 350 quelle che si sono fatte avanti per denunciare le aggressioni. Non molte a dire il vero! Come dice lui, ha toccato con mano le ferite di tanti uomini e donne. Dottorato in medicina e in teologia, è considerato un costruttore di ponti, un uomo della trasparenza e del fare.
Infatti, fa discutere, il nuovo codice di condotta che ha appena introdotto nella sua Diocesi per prevenire gli abusi sessuali e spirituali. Un documento vincolante per guide spirituali, impiegati e dirigenti della diocesi e delle parrocchie cantonali. Prevede standard di qualità verificabili, formulati in modo da essere facilmente applicabili nella vita quotidiana. Potrebbe fare scuola anche nella Diocesi di Lugano.
Abbiamo intervistato il vescovo Bonnemain, a margine del congresso ‘Prima che accada!’ organizzato a Lugano dalla Fondazione per l’Aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia (Aspi).
Perché la Chiesa per tanto tempo ha chiuso gli occhi: chi abusava sessualmente spesso non veniva denunciato ma spostato in un’altra parrocchia. L’immagine della Chiesa è più importante delle vittime?
Non penso ci fosse la consapevolezza di quali profonde ferite causa l’abuso sessuale. Non era cattiveria, ma ingenuità e mancanza di formazione. Quarant’anni fa, il contesto sociologico era diverso: chi faceva questi errori veniva mandato a fare esercizi spirituali. Si pensava che proteggendo il buon nome dell’istituzione, la Chiesa poteva fare il suo servizio, aiutare i fedeli. È totalmente sbagliato. Tutto crolla, se l’immagine esteriore non corrisponde alla realtà interiore. La Chiesa incoraggia ad avere un comportamento morale, dunque più di altre istituzioni deve essere coerente.
La gerarchia può diventare terreno fertile per l’abuso di potere: l’abuso sessuale nella Chiesa è un problema di persone o di struttura?
Un problema di persone e anche strutturale. Papa Francesco ha fatto un sinodo sulla sinodalità, su come favorire una Chiesa dove tutti partecipano attivamente, dove c’è compartecipazione, sminuendo così il potere e l’eventuale abuso di potere dei singoli. Faccio un esempio: come vescovo, dirigo operativamente la Diocesi, sono anche legislatore (applico la legge che ho promulgato) e sono pure il giudice supremo della Diocesi. Se qualcuno che ho nominato fa un errore, sono sempre io a giudicarlo. Stiamo cercando di favorire un’autonomia di queste funzioni. Strutture ecclesiastiche, canali decisionali e ripartizione delle competenze devono essere riconfigurati per poter impedire efficacemente gli abusi.
Una struttura che può favorire l’abuso di potere, implicitamente è più permeabile agli abusi sessuali?
In ambito ecclesiale l’abuso di potere potrebbe diventare un abuso spirituale perché il sacerdote entra nell’intimo della persona, c’è attaccamento e fiducia, si può creare una dipendenza psicologica. Una relazione spirituale può trasformarsi in affettività, in sensualità e alla fine, purtroppo, anche cadere nell’abuso sessuale.
Ad aprile, lei ha emanato un Codice di condotta etico intitolato ‘Prevenzione dell’abuso spirituale e dello sfruttamento sessuale’ per la Diocesi di Coira. Che cosa le sta più a cuore?
Preti, cappellani, collaboratori, dipendenti della Diocesi, corporazioni ecclesiastiche (chi lavora coi giovani, negli ospedali...), tutti devono approfondire, assimilare, ma soprattutto applicare nella quotidianità i principi previsti dal codice. Come ad esempio non mischiare la relazione professionale con la vita privata. C’è una responsabilità pastorale: l’affettività verso un fedele deve rimanere professionale, non diventare affettività privata.
Ci sono state opposizioni. Se lo aspettava?
C’è accordo sul 95% delle misure previste dal codice e questo ritengo sia un passo avanti. A creare frizioni è la sessualità, la non discriminazione dell’orientamento, e della personalità sessuale. Questo codice è vincolante per chi lavora nel campo ecclesiastico. Chi non lo firma potrebbe incorrere in problemi professionali. I più critici, mi accusano di usare la mia autorità per costringere a sottoscrivere questo documento. Ora la cosa più importante è aprire un dibattito costruttivo e lavorare insieme su questo codice.
Un manuale può cambiare davvero qualcosa?
La carta da sola non cambia nulla. Dobbiamo comprendere insieme il senso e l’efficacia di questo codice.
In 20 anni, 350 vittime hanno denunciato abusi. La Chiesa fa abbastanza per far emergere i casi?
Non si fa mai abbastanza. Ogni abuso è una storia di sofferenza, per ogni vittima parlarne è molto faticoso. I vescovi svizzeri hanno chiesto pubblicamente perdono alle vittime in due occasioni. Un atto di riconciliazione, ripreso dai media. Nei mesi successivi le denunce sono cresciute. Forse dovremmo rifarlo. A livello diocesano abbiamo opuscoli con le persone di riferimento da contattare.
I soldi non riparano la sofferenza, perché allora 3 milioni di franchi di risarcimenti alle vittime?
Un risarcimento non sana queste profonde ferite che lacerano per una vita intera ma è un segno simbolico. Il messaggio è questo: ‘Ti sto prendendo sul serio, ho capito che ti ho fatto molto male’. In 20 anni ho ascoltato tante vittime di abusi, l’80% non voleva né fare una denuncia né ricevere dei soldi, voleva solo che la Chiesa ascoltasse tutto il suo dolore.
C’è una persona, una vittima che l’ha colpita particolarmente?
Non dimenticherò mai la storia di un uomo, terribilmente abusato da bambino, la sua sofferenza era tale da impedirgli di avere contatti con persone legate alla Chiesa. Nelle prime ore del mattino, mi scriveva lunghe lettere via email, raccontandomi tutto quello che aveva subito. Gli rispondevo. Non l’ho mai incontrato, lui non ce la faceva. Mi disse che potevo parlare con la sua psichiatra. Lei mi informò che le conseguenze peggiori degli abusi subiti da quest’uomo non erano fisiche, psicologiche, professionali o familiari. Mi disse: ‘Hanno ammazzato Dio nel suo cuore’.
Lei come si è immerso in tanta sofferenza? Quale sguardo pone sui suoi colleghi che hanno compiuto questi atti?
Sono stato cappellano all’ospedale (per 36 anni), responsabile del tribunale diocesano e della Commissione di esperti ‘Abusi sessuali in ambito ecclesiale’, in tutti questi ruoli ho ascoltato e toccato con mano ferite e dolori di uomini e donne. Ogni volta, chiedo a Gesù di aiutarmi a guardare coi suoi occhi chi ha causato tanto dolore.
La sessualità non è stata per troppo tempo un tema tabù, serve più istruzione? Avere pulsioni sessuali è umano, con chi può parlarne un prete?
Molto spesso la sessualità è stata un tabù, ma penso che stiamo evolvendo. Nel documento post sinodale ‘Amoris laetitia’ sull’amore umano, nella famiglia, Papa Francesco dice: ‘Dio ha voluto che godiamo della sessualità’. Se vissuta solo come godimento e non come dono di sé, è una sessualità che non è ancora matura.
Come aiutate quei sacerdoti che abusano sessualmente o rischiano di abusare di chi si fida di loro?
La prima cosa è saperlo. Tanti non si fanno avanti. La prevenzione deve diventare più semplice. C’è la supervisione, l’accompagnamento spirituale, l’appoggio psicologico, si può parlarne con persone di fiducia ... in teoria molto è previsto. È tempo di agire.
Non c’è un problema di accurata selezione degli operatori pastorali e dei sacerdoti: visto il calo di vocazioni, si è forse abbassata l’asticella?
Bisogna certamente fare di più per selezionare chi è maturo psicologicamente, chi ha senso di responsabilità, equilibrio affettivo, un rapporto maturo con la propria sessualità: tutto ciò permette di avere un legame adeguato con le persone. Ci dovrebbero essere almeno le condizioni per arrivarci dopo una formazione adeguata. Altrimenti bisogna avere il coraggio di dire: ‘Mi spiace, non sei adatto, non è il tuo cammino’.
Contro la pedofilia, la Chiesa ha gettato dei semi, ma c’è ancora tanto da fare, nei prossimi 10 anni che cosa vorrebbe vedere risolto?
È vero, c’è ancora tanto da fare. Vorrei che la Chiesa fosse più semplice, più umile, più coerente, più veritiera. Non l’istituzione, ma tutti noi fedeli. La Chiesa cambierà quando noi cambieremo.
Un gruppo di ricerca dell’Università di Zurigo ha appena iniziato indagini scientifiche indipendenti sugli abusi sessuali commessi nel contesto ecclesiale. La Conferenza dei vescovi svizzeri (CVS) ha aperto ai ricercatori gli archivi episcopali segreti. «La rielaborazione è un obbligo nei confronti delle vittime», dice il vescovo Bonnemain. «Le vittime di abusi di potere, manipolazione delle coscienze e aggressioni sessuali non possono vivere in pace fintanto che le ingiustizie subite non saranno portate alla luce, le loro cause chiarite e gli autori chiamati a renderne conto». Perdono e misericordia non possono sostituire una procedura giudiziaria. L’indagine indipendente – della durata di un anno – è stata commissionata dalla CVS, dalla Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera (RKZ) e dalla Conferenza delle unioni degli ordini religiosi e delle altre comunità di vita consacrata in Svizzera (KOVOS). Il pubblico sarà informato quando saranno disponibili i risultati, nell’autunno del 2023. Sulla base di quanto emergerà, CVS, RKZ e KOVOS decideranno dei passi successivi.