È fresca la notizia che giunge dall’Ufficio federale di statistica secondo cui, in base alle rilevazioni eseguite, le cittadine e i cittadini di questo Paese negli ultimi 12 mesi hanno visto il costo del loro paniere della spesa aumentare del 3,5%. Un aumento che non si registrava da decenni.
È pur vero che dopo la metà degli anni 70, così come all’inizio degli anni 90 questo valore aveva raggiunto cifre più alte toccando punte di oltre il 7%. Ma i tempi erano diversi e le spese obbligate delle famiglie incidevano meno sul bilancio, in particolare gli affitti e il premio della cassa malati, diventata alfine obbligatoria solo in quegli anni, con l’entrata in vigore della LAMal.
Dando un’occhiata al contenuto del paniere, si notano però vari beni che hanno subito aumenti di prezzo esorbitanti: il pellet di legno è rincarato del 65,2%, l’olio di oliva del 12,7%, il pane fresco del 9,4%, alcuni tipi di frutta del 19,1%, alcuni tipi di formaggio del 7,1%, il burro del 9,8%, il caffè del 9,9%, il pollame del 4,9%, le calzature dell’8%. Aumenti ben superiori al dato medio del 3,5% su beni che praticamente quasi tutte le famiglie devono acquistare e che non sono certamente beni di lusso.
Se poi consideriamo che nel 2023 i premi delle casse malati e i prezzi dell’elettricità subiranno importanti aumenti, è presumibile che l’aggravio reale per i cittadini risulterà ben superiore al prospettato 3,5%.
Le conseguenze di questa situazione sono purtroppo assai ovvie. Molte cittadine e molti cittadini del nostro Paese che dispongono di un’unica fonte di entrata, penso per esempio alle persone in Avs o ai salariati, nel 2023 vedranno il loro potere d’acquisto diminuire in modo importante, ben più del 3,5%, e (come sempre) le famiglie del ceto medio e medio-basso saranno le più sfavorite. Questo evidentemente preoccupa e non è per nulla semplice individuare delle soluzioni indolori.
Questa fiammata inflazionistica anomala è una diretta conseguenza del conflitto in corso in Ucraina, ragione per cui vi è almeno la speranza che la cessazione delle ostilità, che tutti ci auguriamo già solo per motivi umanitari, possa favorire il ritorno alla normalità.
Se invece questa situazione di rincari generalizzati dovesse divenire sistematica senza una parallela crescita dell’economia, essa sarebbe difficilmente sostenibile nel medio o anche nel breve termine.
Intervenire sui prezzi di taluni servizi essenziali non appare praticabile, quanto meno a livello cantonale. Rimane la delicata questione del compenso mediante l’aumento delle rendite e dei salari. Il Cantone, per i propri dipendenti, affronterà il tema nell’ambito del preventivo 2023, nel quale è stato riservato un importo per una compensazione del rincaro di una misura ancora da stabilire. Lo stesso faranno presumibilmente altri enti pubblici (in particolari i Comuni), parapubblici o sussidiati, mentre che un discorso a parte, ancora tutto da fare, riguarda l’economia privata. In questa situazione di grande incertezza, è difficile immaginare che per tutti i datori di lavoro sarà sostenibile finanziariamente accollarsi la compensazione dell’intero rincaro senza che questo, nell’uno o nell’altro settore, metta a dura prova la competitività di aziende che hanno già dovuto sopportare le limitazioni e le penalizzazioni dettate dalla pandemia.
In una società in cui ci siamo abituati negli anni a potere avere sempre di più, sembra purtroppo giunto il momento di prendersi una pausa di riflessione e di iniziare a ragionare anche in termini di ridimensionamento e di qualche rinunzia.