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‘Come tu mi vuoi’, inquietudine noir

Lucia Lavia, donna di teatro, è l’Ignota, protagonista del dramma della maturità di Luigi Pirandello, il 13 e 14 marzo al Teatro Sociale

Lucia Lavia
9 marzo 2024
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Quando Lucia Lavia fa il suo esordio sul palcoscenico ha 13 anni; al suo debutto televisivo ne ha 16; è appena maggiorenne quando intraprende la sua prima tournée, un ‘Malato immaginario’ che le vale la candidatura al Premio ‘Le maschere del Teatro’ quale ‘Miglior attore/attrice emergente’. Sono i primi passi di una donna di teatro, respirato già tra le braccia di papà Gabriele (Lavia) e mamma Monica (Guerritore), un percorso netto tra grandi registi e autori della grande letteratura che l’ha portata anche qui da noi, l’ultima volta con Umberto Orsini nel ‘Costruttore Solness’ di Ibsen, diretta da Alessandro Serra. Anche in quel caso il teatro era il Sociale di Bellinzona, dove Lavia torna, diretta da Luca De Fusco, per farsi carico dell’inquietudine dell’Ignota di ‘Come tu mi vuoi’, dramma scritto da Luigi Pirandello alla fine degli anni 20 e che prende spunto dal caso di cronaca Bruneri-Canella (il cosiddetto “smemorato di Collegno”).

Di suo per naturale potenzialità cinematografica, ancor più per la scenografia ispirata alla galleria degli specchi de ‘La signora di Shangai’ di Orson Welles, questo ‘Come tu mi vuoi’ ha le tinte di un noir nel quale si muove, tra Berlino e l’Italia, una ‘femme fatale’ in cerca d’identità, nel riproporsi dei temi della maschera, delle verità multiple, dell’ipocrisia sociale tipici del drammaturgo e scrittore siciliano.

Lucia Lavia: cosa la affascina in ‘Come tu mi vuoi’ e in Ignota in particolare?

Ciò che rende interessante questo testo è che non si determina, il personaggio è chiamato Ignota perché fino in fondo non se ne conosce l’identità, nemmeno a noi attori l’autore concede di capire chi sia questa donna. Ciò che affascina, inoltre, è l’ambiguità che si crea, è il personaggio che accende continuamente nuove domande, un personaggio che fa davvero filosofia. Il non sapere chi sia l’Ignota apre dunque a un’affascinante ricerca spasmodica di qualcuno che le dia un’identità.

Da Marta Abba, partner artistica di Pirandello, a Greta Garbo che nel 1932 la portò al cinema, e poi Adriana Asti, Lucrezia Lante della Rovere: c’è una Ignota nella quale si ritrova, o che ha apprezzato particolarmente?

Non ho visto il film, non ho visto altre rappresentazioni, seppur nella disponibilità della versione televisiva. Credo che li vedrò solo dopo avere concluso questo spettacolo, non voglio farmi influenzare. Ogni personaggio ha le sue ragioni e parla attraverso l’attore che lo interpreta. Sicuramente, ogni altra Ignota portata in scena da altre attrici sarà stata e sarà personalissima e unica, perché ognuno, ognuna di noi è attore e attrice unica. Questo è, almeno, il mio modo di rapportarmi al personaggio. Ascolto tanta musica, leggo romanzi, cerco di entrarvi percorrendo strade diverse, non attraverso le operazioni altrui. Credo che ogni operazione artistica sia un atto a sé stante, non ve n’è una giusta o una sbagliata.

Pirandello, Shakespeare, Brecht, Molière, il suo debutto alla regia con Moravia. Quello di Lucia Lavia è un percorso di coerenza con tanto teatro e poche ‘divagazioni’: scelta precisa? Vocazione? Trasporto?

Un trasporto, decisamente. Fare teatro mi consente di mettere in atto un gesto di resistenza. Nel tempo che stiamo vivendo, la parola è costantemente vilipesa, abbandonata. Fare teatro di parola è far parlare la grande arte nella progressiva oscurità del tramonto culturale che stiamo affrontando. Faccio questo con grande passione e penso sia importante, perché l’attore svolge sempre e comunque una funzione sociale, mostrando l’essere umano ad altri esseri umani, e permettendo agli altri esseri umani, riconoscendosi, di conoscere loro stessi. È la funzione della grande letteratura di cui parlano filosofi e letterati, l’importanza di leggere, studiare, è la letteratura che ci aiuta ad avere risonanza emotiva, che ci aiuta a restare in contatto con i nostri sentimenti. Questo non significa disprezzare il cinema: ci vado tre, quattro volte a settimana, lo amo moltissimo e se mi capiterà di farlo sarò ben felice, ma il teatro è la mia casa, ho scelto di mandarla avanti con fatica e dedizione, e quando sono in scena mi sento nel mio territorio.

La vicinanza al tema della doppia identità che fu anche del ‘Fu Mattia Pascal’ è una delle caratteristiche di ‘Come tu mi vuoi’. Lei ha mai sentito l’esigenza di un Piano B o il cambio d’identità tra attore e personaggio le è sufficiente?

Io mi sento completamente me stessa quando mi presto a raccontare, mi piace questo fare da tramite dei personaggi con il pubblico e, sempre parlando del mio caso specifico, mi trovo più a mio agio a prestarmi alle ragioni dei personaggi che a quelle della mia vita di tutti i giorni. Quanto alla doppia identità, credo che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato il desiderio di essere qualcun altro, qualcos’altro. Ci siamo tutti interrogati sulle scelte che abbiamo preso, sull’avere intrapreso un percorso al posto di un altro, detto un ‘sì’ o un ‘no’ in base ai quali in ognuno dei due casi ci ritroveremmo altrove o faremmo dell’altro, su cosa sarebbe successo se avessi ascoltato una determinata canzone o letto un determinato libro, e magari la mia vita sarebbe andata in un’altra direzione.

Estendendo lo sguardo a tutta la sua opera, credo che Luigi Pirandello abbia portato avanti il tema dell’identità in modo costante e assiduo, quel chiedersi se si nasca ciò che si è o se lo si diventi. Tutto Pirandello, in fondo, segue questa linea.

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