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Raccoglimento e preghiera a Cevio

L’intervento di Gianfredo Camesi nella cappella ‘Residenza alle Betulle’, riflessione sul rapporto tra l’azione dell’uomo e il fine della vita

Oltre la materialità di oggetti e forme
(Roberto Pellegrini)
29 aprile 2024
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Fin dai suoi inizi l’intervento artistico di Gianfredo Camesi all’interno della piccola cappella presso la ‘Residenza alle Betulle” di Cevio, si è posto in relazione di rispetto e di integrazione con l’arredo preesistente nell’intento di conseguire l’unità nella molteplicità: nel dialogo tra i diversi stili e quindi anche tra i diversi tempi, ma soprattutto nel portare a sintesi uno spazio che vuol essere di raccoglimento e preghiera. Servendosi dei linguaggi della contemporaneità, in particolare del suo sistema di segni e di colori, di pitture e sculture, Camesi non solo unifica lo spazio, ma lo arricchisce pure di significati e valenze dalle chiare connotazioni simboliche che trascendono la materialità degli oggetti e delle forme.

A cominciare dall’altare: un cubo, simbolo di perfezione e armonia, disegnato nelle pure forme della sua struttura aperta, con all’interno uno specchio messo in diagonale a 45° dentro il quale, a dipendenza dell’angolo visuale, si riflette tutto l’ambiente: simbolo dell’unità di tutta la cappella e di tutti i fedeli dentro l’altare, luogo di incontro e di mistero. La sua eco si prolunga alle sue spalle, sulla parete di fondo dove, tra due santi a far da ala, San Nicolao e Santa Rita, spicca un nero profondo illuminato da una tela di un giallo intenso delle stesse misure del cubo, un metro per un metro: simbolo della luce, di quella luce che ogni uomo va cercando in vita. Quella stessa che vediamo, mossa e vibratile, nei dipinti dei due santi lì accanto, ma resa qui di una purezza assoluta, non intaccata cioè da alcun segno chiaroscurale o traccia di pennello: illuminante e oltre l’umano, ai confini di quell’orizzonte blu-celeste che, quasi fosse una soglia, si apre sull’intero soffitto bianco della cappella.

Su quella soglia, esattamente sopra il quadrato giallo, l’artista ha posizionato un piccolo dipinto che riporta l’osservatore dentro la dimensione del tempo e della vita: perché realizzato con il linguaggio del corpo nella forma di una scrittura progressiva dove gesto e materia si incontrano e sviluppano da un inizio a una fine, dove la purezza dei tre colori primari si contamina nel passaggio dall’uno all’altro. Si intitola Spazio misura del tempo, e il suo tema di fondo è la relazione tra l’agire umano e il fine della vita. Lo stesso che si ritrova pure nell’altro dipinto titolato Forme di luce in cui il gesto di aprire e poi chiudere le dita, quasi a voler afferrare qualcosa, lascia le sue tracce sul colore fresco distribuito sulla tela facendo emergere il bianco che sta sotto, oltre le apparenze. Si tratta di un gesto semplice ed elementare che traduce un’aspirazione congenita, primordiale: l’arrivare alla luce, aprire uno spiraglio che vada oltre l’immediatamente visibile. Le due opere, unitamente a Cammino del corpo posto fuori dalla cappella, nelle loro diverse forme incarnano l’innato bisogno di ogni singolo uomo di tendere, mediante il pensiero e l’azione, a quella luce che dia senso al proprio esistere all’interno di un percorso di vita che va da un inizio alla sua fine.

Fiat lux

Ritorna per questa via il tema unificante della luce: luce sorgente e spirituale, oltre la misura del tempo, quella simboleggiata nel giallo che illumina il nero dietro l’altare; molto più umana e funzionale quella messa, a chiusura della cappella, nella tenda dello stesso colore fatta porre dall’artista sulla parete contrapposta: una cascata di pieghe che si adatta alle ore del giorno e al succedersi delle stagioni. Tempo e spazio dell’umano a contatto con il sentimento del sacro e del divino. Si viene così a creare una continuità di significato che non solo unifica lo spazio interno alla cappella, ma si prolunga anche fuori, nel luogo di vita collettiva su cui essa si affaccia: una grande sala articolata da interventi pittorici fatti con quello stesso giallo, ma precedenti l’arrivo di Camesi alle betulle e che si ritrovano poi in varie parti dell’edificio. Nel riprendere quel colore, Camesi va oltre la sua funzione decorativa, lo porta dentro lo spazio del sacro, dà ordine, senso e misura a quella unità di colore, la investe di significati altamente simbolici e, nel fare questo, è come se facesse confluire tutta la complessa, a volte anche dolorosa, varietà della vita, dentro uno spazio di silenzio e meditazione che trascende la durata del tempo e del vivere.

Quel tempo e quella vita che egli richiama mettendo a contatto due Vie Crucis da lui realizzate a distanza di sessant’anni e lo concernono come uomo e come artista: perché il loro accostamento evidenzia la storia di un cammino, di un processo intellettuale e artistico che lo ha portato dalla figurazione degli anni 60 alla sequenza fotografica titolata “Il Cammino della croce” del 2023. Non è solo questione di stile, ma anche di contenuti con cui egli si confronta ai due capi del suo percorso. Con un particolare che colpisce: mentre nella prima, in un aggrovigliarsi di figure e di grigi, si assiste a un progressivo abbassamento del legno trasversale della croce che dall’orizzonte alto perviene a livello del suolo; nella seconda il percorso si rovescia e purifica: la croce, nella sua spoglia essenza, si eleva dal livello del suolo al suo orizzonte più alto. Come dire: dalla vita alla morte ma anche dalla morte alla Vita, dove, come ha scritto l’artista, “il silenzio è la forma perfetta del tutto”.

Attraverso le peculiarità del suo linguaggio, l’intervento di Gianfredo Camesi nella cappella della ‘Residenza alle Betulle’ diventa strumento di riflessione sul rapporto tra l’azione dell’uomo e il fine della vita, indagine circa il senso dell’esistere animata da una forte tensione etica.


Roberto Pellegrini
La storia di un cammino

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