L’auspicio dell'Ata e di Pro Velo Ticino è di prevedere dei percorsi esclusivi per le bici, separati da auto e pedoni
«È ovvio che più c’è densità di biciclette, più gli incidenti aumentano». Il presidente della sezione ticinese dell’Associazione traffico e ambiente (Ata) Bruno Storni commenta così i dati recentemente diffusi dall’Ufficio prevenzione infortuni. Stando all’Upi, ogni anno in Svizzera i ciclisti che non rispettano le regole della circolazione causano duecento collisioni con morti o feriti gravi. In Ticino, se da un lato tra il 2016 e il 2020 gli incidenti con coinvolgimento di almeno un velocipede sono rimasti relativamente stabili, tra i 73 e i 77 annui, dalle statistiche della Polizia cantonale emerge invece per lo stesso periodo una netta tendenza al rialzo relativa alle bici elettriche, che ne hanno fatti registrare 12 nel 2016, ma 37 lo scorso anno. Per Marco Vitali, presidente di Pro Velo Ticino, «il dato è chiaro: se l’incremento nelle vendite delle bici cosiddette muscolari è stato relativamente contenuto, quello delle bici elettriche è stato addirittura esponenziale. L’aumento degli incidenti che hanno coinvolto queste ultime potrebbe esserne, in parte, anche una conseguenza logica e prevedibile». Tant’è che pure il 2021, nonostante le cifre siano disponibili solo fino al mese di maggio, sembra seguire questo trend, in particolare per i decessi. Dato che concerne però unicamente le e-bike, dacché negli ultimi quattro anni le biciclette tradizionali non ne hanno fatti registrare. Per le prime si parla quindi di un incidente mortale nel 2019, due nel 2020 e già uno nel 2021, mentre per i tre anni precedenti nessuno.
A partire dalle citate statistiche Vitali spiega che «questo è anche un chiaro segnale della carenza d’infrastrutture e della poca attenzione che ancora si dedica alla sicurezza di chi si sposta scegliendo la mobilità dolce. Il lento miglioramento delle condizioni per chi pedala, specialmente degli ultimi anni, non è insomma stato in grado di far fronte all’ondata della ‘nuova utenza’ che ha colto i nostri servizi in buona parte impreparati ad accoglierla. I nodi, complice l’aggiunta dei molti turisti dell’ultimo anno, sono venuti al pettine. A ciò si aggiunge che chi, attraverso la bici a pedalata assistita, si è riavvicinato alle due ruote dopo tanti anni – e probabilmente ha perso un po’ di dimestichezza –, ha ritrovato le strade spesso più trafficate e quindi più pericolose». In tal senso gli esempi non mancano, «a Lugano, aprire parte delle corsie dei bus alle bici e realizzare, con la complicità della pandemia, alcune corsie ciclabili, oltre che introdurre una zona 30 su parte del lungolago, è stato parecchio complicato. Altrove sembra esserlo ancora di più: incomprensibile, che i 30 all’ora per automobili e moto non vi siano ancora né sul lungolago tra Muralto e Minusio, né davanti alla Filanda a Mendrisio. Altrettanto insensato è che la velocità non sia limitata su tratte pericolose e strategiche per le bici, come sulla Melide-Paradiso. Va in effetti ricordato che la Svizzera, per quanto riguarda la mobilità ciclistica, non è un paese all’avanguardia e che il Ticino ne è il fanalino di coda. Molte città europee – precisa Vitali – si stanno invece adeguando rapidamente». Anche Storni si allinea su questo punto: «Le piste ciclabili ticinesi sono ancora un puzzle, non sono assolutamente lineari ed è spesso necessario molto tempo perché siano implementate. Un esempio è quello della tratta con passerella che attraversa il fiume Verzasca tra Gordola e Tenero, quei settecento metri li avevo proposti nel 1989 ma sono stati finiti solo nel 2018. La situazione recentemente è quindi migliorata e da lì a Locarno praticamente non si incontra più una macchina. Resta però il fatto che per poi arrivare in Piazza Grande bisogna prendere un semaforo che non c’è infilandosi verso Largo Zorzi e sperando che non passi un bus».
Vitali interviene allora sull’esigenza d’indicare più chiaramente le zone esclusive per le biciclette. «Oltre a piste e corsie ciclabili mancanti, il problema risiede anche nella carenza di segnaletica orizzontale e nella tendenza a non separare le bici dai pedoni. Così si continua semplicemente a generare conflitti in buona parte evitabili». Sembrerebbe dunque che un problema che sta emergendo sempre più spesso di questi tempi riguarda la convivenza sulle ciclopedonali tra, appunto, ciclisti e pedoni. Problema reso più evidente dalle bici elettriche, specialmente da quelle veloci. Come ci spiega Vitali, «progettare infrastrutture in futuro deve quindi voler dire dividere i flussi il più possibile: sia i pedoni che i ciclisti devono avere un’indicazione chiara di dove sia il loro posto. Nel frattempo, e laddove non è possibile la separazione, la raccomandazione non può che essere quella del rispetto reciproco. In questa direzione è andata anche a parare una recente campagna promossa da Pro Velo Ticino insieme all’Ata. Un’altra sarà invece prossimamente capitanata dal Cantone». Partendo dal rinnovo di via Luini a Locarno, Storni conferma ugualmente l’emergere di questa problematica. «La strada è appena stata rifatta, anche bene, ma i ciclisti sono di nuovo stati messi sul marciapiede. Stesso discorso per la passerella sulla Maggia dove non c’è separazione dai pedoni. Si lavora ancora male purtroppo. È vero che non si può fare tutto in un colpo solo – prosegue Storni –, ma non c’è continuità, visto anche il boom del ciclabile. In tal senso, la bici elettrica è la più grande rivoluzione della mobilità, ogni persona che pedala, non guida una macchina, il che comporta meno traffico, meno colonne e meno inquinamento».
Ma come contrastare questa tendenza al rialzo degli incidenti anche gravi in bicicletta elettrica? Una soluzione potrebbe essere individuata nell’introduzione sistematica di corsi di sensibilizzazione all’acquisto di un’e-bike. «Pro Velo Svizzera, con diverse sezioni regionali, – ci dice Vitali – offre già dei corsi guida per chi utilizza la bici elettrica. In Ticino, per il momento, riusciamo solo a partecipare a campagne di sensibilizzazione, che estenderemo anche ai negozianti. Questi, in effetti, potrebbero indirizzare i nuovi utenti al Tcs, che attualmente ne organizza già». Prevedere invece dei corsi obbligatori? «Questa espansione – rileva ancora Vitali – si potrebbe immaginare in particolare per le bici elettriche veloci, perlomeno per quelle con la targa. Un provvedimento che sarebbe tuttavia da pensare a livello nazionale, con tutta una serie di misure accompagnatorie da studiare. Va comunque anche tenuto conto che, in linea con la richiesta di Pro Velo Svizzera di non rendere il casco obbligatorio per chi usa le bici assistite fino a 25 km/h, troppi interventi restrittivi finiscono per disincentivarne l’uso». Parallelamente Storni afferma che «per far fronte a questa tendenza, noi come associazione avevamo già proposto che al momento della vendita si offrisse un piccolo corso, perché basta poco per sbagliare. In più, se un ciclista fa un incidente, la probabilità che si faccia male è più alta, ragione per cui è bene fare più prevenzione. In definitiva, l’obiettivo principale è di evitare che le bici circolino sulle strade, nonché di favorire il più possibile dei percorsi separati e non misti».