L’uomo era stato condannato in primo grado per violenza carnale nei confronti dell’ex amante. La Carp, però, ha ritenuto più credibile lui della donna
Quella sera del maggio 2018, in quel cantiere del Luganese, non c’è stata violenza carnale. Ribaltone in Appello nel caso del presunto stupro commesso da un 58enne italiano nei confronti di una donna, alla quale era stato legato sia sentimentalmente sia professionalmente, e che di fatto all’epoca dei fatti era la sua amante. La Corte di appello e di revisione penale (Carp) ha infatti rovesciato il giudizio di primo grado, prosciogliendo l’uomo dall’accusa di violenza carnale e accogliendo in tal modo in larga parte il ricorso presentato dal suo avvocato Elio Brunetti.
Questi, in estrema sintesi i fatti: i due diventano soci in affari, oltre che l’uno l’amante dell’altra. Un rapporto che tuttavia s’incrina quando il compagno della donna muore. Lei inizia a rifiutare i rapporti sessuali, lui si fa sempre più insistente fino alla sera della presunta violenza, in un cantiere dove si stavano costruendo appartamenti sui quali entrambi avevano diritto di compera. E da lì le versioni divergono: lei lo ha denunciato per stupro, mentre lui si è difeso sostenendo che la denuncia fosse una vendetta, dato che lui l’aveva segnalata per truffa a un’assicurazione. Un processo indiziario, dunque. La Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani aveva trovato più credibile l’accusatrice privata, seguita dall’avvocata Sandra Xavier, condannando nel maggio del 2021 il 58enne a tre anni, due dei quali sospesi per altrettanti anni.
La Carp, presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, ha invece sostanzialmente riscontrato numerose incongruenze nel racconto presentato dalla presunta vittima. Incongruenze che in più occasioni ne hanno minato la credibilità, secondo la Corte locarnese, al punto da concludere che “le dichiarazioni dell’accusatrice privata non possono costituire un valido sostegno probatorio per l’ipotesi accusatoria”. D’altro canto, la Carp ha evidenziato che l’imputato “ha reso delle dichiarazioni parzialmente scomode per la sua stessa posizione”, riconoscendo comportamenti discutibili da parte sua, ma che non bastano per essere considerati indizi della sua colpevolezza. In definitiva, la Corte ha ritenuto più credibile la versione dell’uomo che della donna. Respinto infine l’Appello incidentale presentato dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni, che chiedeva una condanna a una pena superiore.