Commento

Una riforma spia di debolezza

(Pablo Gianinazzi)
19 settembre 2017
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Una riforma fiscale di pesante digestione accompagnata, non a caso, da un blando digestivo. È il “pacchetto” presentato ieri dal Consiglio di Stato e approvato dallo stesso all’unanimità, “ministro” socialista compreso che, perché presidente del governo, ieri ha avvertito la necessità di fare alcune puntualizzazioni. Anche personali, ma la sostanza non cambia. Dicevamo una riforma pesante perché impopolare: riduce (un punto per mille in due anni) l’aliquota d’imposta sulla sostanza (la ricchezza) dei contribuenti milionari qui residenti, con un costo – minori entrate – di 15 milioni annui per le casse cantonali e 11,5 per quelle comunali. Una misura che coinvolgerà circa 7’000 contribuenti, ovvero il 20 per cento di coloro che hanno pagato nel 2012 – è l’ultimo dato certo – l’imposta sulla sostanza, sul patrimonio.

L’intero pacchetto fiscale e sociale presentato ieri dal governo è stato costruito su questo pilastro: ridurre l’imposizione dei milionari qui residenti perché altrimenti – l’ha detto ieri a chiare lettere Christian Vitta, direttore del Dfe e lo si legge nel messaggio governativo – questi scappano altrove, anche perché il Canton Ticino in questo specifico segmento è agli ultimi scalini della classifica svizzera, il più fiscalmente esigente verso chi molto ha guadagnato o ereditato.

E non a torto, per almeno due motivi. Il primo è di carattere generale. In ogni Stato democratico, che basa cioè la propria ricchezza sui contributi prelevati ai cittadini, la tassazione è progressiva e penalizza maggiormente chi più ha. Per un motivo semplice: non bastano capacità e creatività individuali per accumulare ricchezza, servono anche non poche condizioni generali (infrastrutture nel sottosuolo, strade adeguate, territorio all’altezza, sicurezza sociale, solo per citarne alcune) garantite dallo Stato in cui si opera e queste costano parecchio. Non è un caso se nei Paesi anglosassoni molti ricchi imprenditori decidono, in tarda età, di restituire parte del proprio patrimonio all’intera comunità tramite fondazioni o simili. Perché certo la ricchezza non è il diavolo (non più da un pezzo…), ma neanche un dono portato dalla cicogna. Il secondo motivo ha a che fare con la situazione particolare del Canton Ticino, regione di minoranza e di frontiera e dunque più esposta alle insidie del mercato nazionale e internazionale. O questo argomento diventa buono solo quando si bussa a Palazzo federale?

La riforma si attribuisce anche i termine “sociale” perché prevede un potenziamento delle strutture di accoglienza dei bambini in età prescolare e scolare, ma soprattutto – vera innovazione – l’assegno parentale, ovvero 3’500 franchi una tantum per ogni figlio che nascerà a partire dal prossimo anno ai genitori qui residenti con un reddito lordo familiare non superiore ai 140’000 franchi. Si prevedono circa duemila casi all’anno. Un incentivo alla natalità che farà felice chi già sta pensando di mettere su famiglia, ma non aiuta certo chi di figli già ne ha parecchi e fatica a mantenerli. Per questi ultimi, si dice, già sono previste misure di sostegno. Peraltro recentemente ristrette. E allora questa nuova “invenzione” a cosa serve se non a digerire un po’ meglio la ricetta fiscale? Perché mai, altrimenti, si sarebbe deciso di inserirla in questo pacchetto? Tanto vale dirlo senza falsi pudori. Abbiamo bisogno dei settemila milionari qui residenti perché la gallina dalle uova d’oro – le banche – s’è dimagrita parecchio. E anche perché la qualità di lavoro e reddito fatica a decollare. Tutto il resto è aria fritta o quasi.

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