L'analisi

Se i musulmani entrano in chiesa

2 agosto 2016
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Se papa Francesco dice, come ha detto, che non c’è guerra di religione, che non è giusto identificare l’Islam con il terrorismo, che in tutte le religioni c’è il fondamentalismo e può arrivare a uccidere con le parole e col coltello, e che la violenza è anche fra i cattolici, stiamo certi che non mancheranno gli “atei devoti” – non credenti ma autoproclamatisi difensori della cristianità – pronti a pubblica indignazione nei confronti delle affermazioni del pontefice argentino. Gli stessi che, di fronte all’ignobile assassinio sull’altare di Saint-étienne-du-Rouvray di padre Jacques (il prete che della convivenza con la locale comunità musulmana aveva generosamente fatto un caposaldo della sua pastorale, fino a donare il terreno parrocchiale su cui costruire una moschea), hanno subito parlato di “salto di qualità”: simbolicamente più grave, gerarchicamente più alto, politicamente più pregnante di tutti gli atti di orrore che da oltre un anno seminano lutti in Europa. Strana classifica, quella che quasi relega in secondo piano le tante altre vittime di chi agisce nel nome di un Dio impensabile. L’umanità colpita e straziata dai due giovanissimi assassini di Saint-étienne è in realtà la stessa di quella abbattuta nella redazione di Charlie Hebdo, o falciata durante il concerto del Bataclan, di coloro che festeggiavano sulla “Promenade des Anglais” a Nizza , e in ciascuno dei singoli bambini (tanti) che su quel lungomare chiamato anche “degli Angeli” vennero scientemente schiacciati dall’autocarro del terrorista Bouhlel. Ma non solo: è la stessa umanità delle innumerevoli vittime musulmane delle guerre intestine o imposte dall’esterno, nell’infernale calderone del Medio Oriente; dei piccoli arabi uccisi dall’infamia delle sanzioni economiche e dei bombardamenti a tappeto; e degli altri (nemmeno si sa quanti) finiti sotto le rovine del “fuoco amico”.
Quando lo si ricorda agli interessati “negazionisti”, i quali inutilmente si sforzano di escludere che anche la recente storia delle ‘nostre’ guerre e dei nostri interessi coloniali garantisce radici profonde al risentimento e all’odio del fanatismo, l’accusa è quella di “nichilismo occidentale”. Come se affermare una verità possa significare cancellare tutte le diverse verità che formano il grumo velenoso e insopportabile dell’odierno terrorismo. Domenica, alcune migliaia di musulmani hanno assistito alla messa nelle chiese di Francia e d’Italia, per ricordare il martirio di padre Jacques e delle vittime di una violenza che pretende di incatenare l’Islam all’immagine di una pratica religiosa geneticamente cruenta ed esclusivista. E sempre la categoria degli “atei devoti” ha denunciato una partecipazione considerata troppo debole, troppo fiacca, troppo lasca delle comunità islamiche in chiese che per la verità da tempo risultano sempre meno frequentate da fedeli cattolici.
Ebbene, proprio pensando a quello che egli stesso definisce un “ecumenismo del sangue”, è lo storico del cristianesimo Alberto Melloni a farci capire uno dei significati principali di un’iniziativa che non andrebbe sprecata e banalizzata: in passato “i cattolici non hanno preso una iniziativa comunitaria per andare in moschea a piangere quando sono morti i bambini di Siria e le donne di Iraq… E anche i cattolici hanno subito pigramente la vera offensiva del regista dell’Isis, che vuole abituarci a distinguere attentato da attentato, a sentire diversamente gli uccisi nostri e loro”. Appunto, l’orribile umanità a geometria variabile.

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