Culture

Rivoluzione al bivio

23 luglio 2016
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– di Mattia Ferretti –

Berna – È un tiepido pomeriggio di inizio estate. Il sole che riflette sugli arredi caraibici nel salotto della villa che ospita la sede della rappresentanza diplomatica nella Capitale, e la calorosa accoglienza del personale dell’ambasciata, ricordano le atmosfere dell’Avana. Mirtha Hormilla Castro, occhi scuri e sorriso solare, è approdata in Svizzera sei mesi fa, dopo essere stata a capo della missione diplomatica cubana presso l’Unione europea. Lei rappresenta un Paese che è stato isolato per sessant’anni, in un Paese (la Svizzera) che si isola dall’Europa. Si può essere isolati e felici? Esistono isole felici? Cuba ha relazioni diplomatiche con 194 Paesi in tutto il mondo; ogni anni arrivano a Cuba tre milioni di turisti da ogni parte del globo; in questo momento 50mila professionisti cubani lavorano come medici, infermieri, professori, allenatori sportivi ecc. in 68 Paesi; per non parlare degli undicimila giovani stranieri che studiano sulla nostra isola… L’idea che Cuba sia stata isolata per sessant’anni non è corretta. È vero che il mio Paese, in questi anni, ha dovuto affrontare l’ostile e aggressiva politica statunitense, che ha cercato di isolarlo dal resto del mondo dal punto di vista economico, diplomatico e politico. Con il blocco economico, finanziario e commerciale gli Stati Uniti hanno cercato di obbligare noi cubani a rinunciare al nostro sistema politico, portando il nostro popolo ad affrontare carenze di ogni tipo. Tuttavia lo stesso presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha riconosciuto, come molti altri, che la politica statunitense contro Cuba ha fallito e ha contribuito all’isolamento degli stessi Usa dall’America latina e dai Caraibi. Nell’ottobre dello scorso anno, 191 Paesi hanno votato all’Onu contro il blocco statunitense a Cuba. Gli Stati che si sono espressi negativamente sono stati solo due: Stati Uniti e Israele. Potremmo chiederci: chi è davvero isolato? Le posso dire con certezza che Cuba non è stata isolata, ma è sempre stata in permanente contatto con il mondo, coltivando una politica di solidarietà molto forte, basata sul rispetto e l’uguaglianza tra gli Stati. Nei 60 anni di Rivoluzione la solidarietà del mondo con Cuba è stata molta. Anche da parte della Svizzera c’è sempre stato un grande appoggio al popolo cubano. A Cuba non siamo ricchi materialmente, ma siamo enormemente ricchi spiritualmente. Ricchi di valori, di cultura e di amore per la famiglia e la Patria. Siamo felici perché lottiamo, resistiamo e riusciamo a costruire un Paese che non è certo perfetto, ma dove si vive con dignità, con orgoglio e con grandi garanzie sulla vita, la salute, l’educazione, il benessere spirituale e umano e dove i bambini e gli anziani vengono sempre per primi.

Ernest Hemingway, che tanto ha amato Cuba, diceva: «Bisogna rassegnarsi all’idea che ai più importanti bivi della vita, non c’è segnaletica». Il suo Paese è arrivato a un bivio importante. Riuscirà a svoltare senza perdere la sua unicità e la sua anima rivoluzionaria?

Non ho alcun dubbio sul fatto che i cubani riusciranno a custodire gelosamente le conquiste della Rivoluzione. Abbiamo un sistema socialista che si sta rinnovando, che si trasforma e che mira a migliorarsi. Nessun’opera umana è perfetta, è evidente che dovremo lavorare duramente per rendere più efficiente l’economia, più dinamiche le forze produttive per diventare più competitivi sul piano internazionale. L’attuale processo di miglioramento del modello economico e sociale a Cuba non nasce in una provetta di laboratorio. Nonostante i passi positivi fatti dall’amministrazione americana, il blocco contro Cuba rimane attivo in diversi settori, in particolare nell’ambito extraterritoriale con gli ostacoli a imprese di Paesi terzi (tra i quali la Svizzera). Cuba inoltre ha un’economia aperta e sta subendo gli effetti della crisi economica globale: la variazione dei prezzi delle materie prime, il calo della domanda risultante dalla crisi economica dei Paesi importatori. Anche come esseri umani abbiamo bisogno di tempo per assimilare i cambiamenti, in modo che oltre ai quadri giuridici e normativi cambino anche i processi mentali, culturali e di appropriazione dei diversi modi di lavorare. Posso dirle che a Cuba lavoriamo senza fretta, ma senza pause. Non esistono ricette su come costruire il socialismo su un’isola che si trova a sole novanta miglia da una superpotenza mondiale, la quale non ha accettato il nostro sistema politico ed economico.(…)

 

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